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domenica 5 febbraio 2012

Cogito ergo sum sed tempum nullam essendi est (Penso dunque sono, eppure non vi è tempo di essere)

di Stefania Guglielmo

Il pensiero sembra essersi posto, nel corso del tempo, come il carattere distintivo del genere umano; la facoltà di stupirsi, domandarsi,ricercare, ipotizzare e comprendere sembra infatti un’esclusiva dell’uomo. Il cogere cartesiano è il tassello-base nella struttura dell’essenza dell’individuo: è il pensiero che glipermette di essere ciò che è (uomo) è null'altro. In quest’ottica in cui l’uomo pensa per cui egli è, sillogisticamente, se non pensasse non sarebbe più uomo, ma un qualsiasi altro essere; è ben noto, tuttavia, che all’uomo poco diletta l’esser posto sullo stesso piano degli altri esseri, tant’è che egli innalza la propria esperienza, decantando il possesso di questa sua particolare capacità. Coerentemente con le sue pretese l’uomo dovrebbe dunque dedicare gran parte della propria esperienza esistenziale a questa attività così unica e nobile; ad oggi, però, nella società,creata proprio dall’essere pensante, non vi è tempo di cogere,non vi è tempo di pensare, dunque, non vi è tempo di essere. L’uomo è ora considerato pienamente tale se produce, dunque deve produrre atutti i costi: la sua istruzione, la sua formazione, il suo tempo devono essere finalizzati alla produzione, in quanto un uomo che nonproduce poco si incastra nella odierna società- puzzle, che per esistere deve far sì che tutti i suoi pezzi siano della stessa misura, nella giusta posizione ed immobili, altrimenti rischia di infrangersi irrimediabilmente. In questa prospettiva l’uomo deve impegnarsi per produrre nel massimo tempo di cui dispone e deve farlo tramite il lavoro che di rado è commisurato alle capacità, alle propensioni e alle attitudini dei singoli individui e, di converso, è sempre più spesso assegnato usando come unico parametro il profitto.Detto ciò, si provi ad applicare la definizione cartesiana dell’essenza umana alla situazione sociale che si sta vivendo: la maggior parte del tempo dell’uomo viene impiegata nel lavoro; esso tuttavia non è concepito come un’azione che valorizzal’individualità dell’esperienza di ogni singolo, bensì comel’attività alienante per eccellenza, in quanto costruita, non intorno alle peculiarità dell’individuo, ma intorno all’interesse di una massa informe composta da mille volti, in cui specchiandosi nemmeno uno di essi si riconoscerebbe. In questo quadro l’individuo quando torna ad essere se stesso? Quando vive il proprio tempo,godendo a pieno della propria esperienza? Quando ritorna a soffermarsi ed essere uomo? L’alta esperienza dell’individuo diviene oggi una corsa sfrenata, in cui è licenzioso l’affanno e in cui ci si trova a desiderare di occupare il proprio tempo tramite qualsiasi mezzo pur di non pensare, poiché l’azione più cara all’uomo è divenuta un atto doloroso che conduce alla consapevolezza di non poter essere ciò che si è. Tale mutamento non può essere considerato come una trasformazione evolutiva, in quanto essa comporterebbe l’assunzione di una nuova forma che mantiene alla sua base un’immutata componente sostanziale, il pensiero appunto. In questo caso, invece, si sta tradendo la propria essenza per diventare altro rispetto a ciò che si è, e, si sa, per diventare altro è bene che prima ci si annulli completamente. Ciò che forse si è sottovalutato è che ciò compone un ente permane al permanere della sua esistenza dunque per quanto si ignori o sirimandi arriverà il tempo di cogere, di fare i conti con se stessi, ed il pensiero, che è la più grande arma che l’uomo possiede, se ignorato, al momento in cui inevitabilmente si presenta,potrebbe apparire insostenibile.