di Natale Zappalà
Pochi italiani ricorderanno che nei prossimi giorni, il 12-13 giugno 2011, ricorrerà un anniversario particolare: esattamente sei anni fa l'elettorato veniva chiamato alle urne in occasione del Referendum abrogativo sulla legge n. 40 del 19/2/2004, “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, distinto in quattro quesiti:
- procreazione medicalmente assistita – limite alla ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni – abrogazione parziale;
- procreazione medicalmente assistita – norme sui limiti all'accesso – abrogazione parziale;
- procreazione medicalmente assistita – norme sulla finalità, sui diritti dei soggetti coinvolti e sui limiti all'accesso – abrogazione parziale;
- procreazione medicalmente assistita – divieto di fecondazione eterologa – abrogazione parziale.
Precedentemente, una coalizione composta da Radicali Italiani, Associazione Luca Coscioni, Democratici di Sinistra, Socialisti democratici italiani, Rifondazione Comunista e alcuni esponenti di centro-destra (nuovo PSI, il Partito Repubblicano e il forzista Alfredo Biondi) aveva ottenuto dalla Corte di Cassazione l'ammissibilità di quattro quesiti di abrogazione parziale della legge, mentre veniva sancita l'inammissibilità del quesito di abrogazione totale, raccogliendo più di un milione di firme. Il «fronte del sì» mirava sostanzialmente a:
- garantire la fecondazione assistita non solo alle coppie sterili ma anche a quelle affette da patologie geneticamente trasmissibili;
- eliminare il limite di poter ricorrere alla tecnica solo quando non vi sono altri metodi terapeutici sostitutivi;
- garantire la scelta delle opzioni terapeutiche più idonee a ogni individuo;
- dare la possibilità di rivedere il proprio consenso all'atto medico ogni momento;
- ristabilire il numero di embrioni da impiantare.
Il 12-13 giugno 2005 solo il 25,9 % degli aventi diritto si reca a votare: il quorum non viene raggiunto anche perché il «fronte del no» – guidato dal comitato “Scienza & Vita” – si fa portavoce di una massiccia campagna promozionale inneggiante all'astensionismo, coadiuvato dalla Chiesa Cattolica, in particolare dal Card. Camillo Ruini, allora presidente della CEI, che non perde occasione per invitare – cripticamente, è chiaro – l'elettorato cattolico a disertare le urne, in quanto «è inutile inseguire cambiamenti della legge in Parlamento poiché bessuna modifica apporterebbe miglioramenti alla legge 40/2004, la quale salvaguarda principi e criteri essenziali».
A distanza di sei anni, nonostante il non raggiungimento del quorum, le coppie italiane, anche se cattoliche, non esitano a recarsi presso prestigiose cliniche estere, soprattutto a Barcellona, per sottoporsi a terapie di procreazione medicalmente assistita non consentite all'interno del Belpaese. Il Referendum abrogativo del 2005 è costato allo Stato Italiano qualcosa come 364.819,450 euro.
Sarebbe bastato, in omaggio ai dettami della democrazia diretta, che quella vasta porzione di cittadini pregiudizialmente contraria ai quesiti referendari del 2005, si fosse recata a votare per il NO, attendendo poi gli esiti del computo delle preferenze basati sul principio della maggioranza semplice anziché affidarsi a una normativa – quella che regola il quorum referendario in Italia – fallacea e liberticida. Sarebbe bastato riflettere sui principi di tutela della diversità confessionale che dovrebbero vigere all'interno di uno stato laico. Sarebbe bastato assolvere coscientemente e coerentemente il diritto-dovere di ogni elettore italiano: quello di recarsi sempre e comunque a votare. Per non dimenticare.
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