di Stefania Guglielmo
Il
concetto di mondo, inteso come realtà, è generalmente un concetto
noto a tutti in maniera piuttosto unitaria. Se però ci si sposta dal
campo del generale a quello del particolare –
dunque, da un ambito più astratto ad uno maggiormente
concreto –, ciò che ognuno
riconosce come mondo, come realtà, risulta essere un concetto
soggettivo, unico, e che non trova un corrispettivo completamente
soddisfacente nel pensiero di nessun altro individuo. Il mondo e la
realtà sono infatti individuali e, nel più intimo pensiero del
singolo, vengono rappresentati dall’insieme delle esperienze
vissute e, conseguentemente, dai luoghi, dalle persone e dalle
circostanze con cui o in cui ci si è ritrovati a vivere e da cui
derivano, inevitabilmente, i lineamenti fondamentali della propria
personalità.
Per
tale ragione, l’uomo vive nel mondo e nella realtà con una
consapevolezza direttamente proporzionale alla qualità delle proprie
esperienze. Sarebbe opportuno, tuttavia, precisare che la qualità
delle esperienze vissute – così
come, più in generale, il livello del progresso scientifico
raggiunto dalla società in cui si vive –
può accrescere la consapevolezza che l’individuo ha del reale, ma
non le sue possibilità di conoscere oggettivamente il mondo e la
realtà.
L’individualità
e l’unicità di ogni singola esistenza si pongono come le
caratteristiche principali della vita, principali e necessarie per il
rispetto della più profonda essenza umana, ma, contemporaneamente,
si dimostrano i limiti più grandi dell’uomo. L’individuo,
infatti, strettamente ed inguaribilmente legato alla propria realtà
individuale, non potrà mai prescinderne per giungere ad una
conoscenza generale del mondo nella sua interezza, a meno che non
riesca a trovarsi fuori da se stesso e da tutta la realtà
circostante.
Da
ciò si deduce che ogni uomo, possedendo la propria realtà
individuale, condurrà un’indagine altrettanto individuale del
mondo che conosce, nel corso della quale assumerà una centralità
che, oggettivamente, nell’ambito della verità della realtà
generale che eternamente sfugge, non gli appartiene.
L’individuo
che giunge all’acquisizione di tale consapevolezza è un soggetto,
di questi tempi, pericoloso. Il riconoscimento della relatività
della posizione dell’uomo nei confronti della realtà oggettiva
conduce, del resto, all’assunzione di una seconda consapevolezza:
si giunge a comprendere che l’individuo è in sé propenso a
sottostare esclusivamente alle verità scaturite dal suo interno, dal
suo rapporto con la realtà, e che poco gli si addice, nel corso
della sua vita, l’accettazione di verità dettate, invece, da
realtà esterne, non interamente coincidenti con la propria, e dunque
soggette ad un diverso parametro di veridicità.
Tale
pensiero conduce a vivere criticamente la propria esistenza, anche se
risulta paradossale nel periodo storico e sociale che stiamo vivendo,
determinato a proporre con ogni forza una realtà fittizia, sempre
più omologata. Il relativismo, di converso, libera l’individuo da
eventuali condizionamenti di carattere sociale, religioso, etico o
ideologico, permettendogli lo sviluppo di un'opinione individuale,
legata esclusivamente ad un rapporto di coerenza nei confronti dei
caratteri più intimi della propria personalità, spingendolo ad
adottare come unico metodo per orientarsi nel mondo quello più
idoneo alla sua condizione: la conoscenza di se stessi in relazione
all’esperienza della propria realtà.
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