di Natale Zappalà
Il caso di Avetrana: un dramma disumano del quale è doveroso informare il pubblico. Che l'efferato omicidio della piccola Sara Scazzi debba costituire un incentivo ulteriore per tutte le numerose vittime di molestie ed abusi sessuali al fine di denunciare i colpevoli, risulta altrettanto lapalissiano. L'omertà, i tabù e le reticenze con le quali vengono sovente affrontati ed occultati i reati a sfondo sessuale rimangono i nemici da combattere, al pari dei carnefici che si macchiano di tali atrocità.
Tuttavia, confondere il diritto di cronaca, libertario ed inalienabile, con un grottesco voyeurismo dettato dalla possibilità di monitorare 24 ore su 24 l'abitazione-scenario del delitto con tanto di di comunicazione-live via sms o in forma epistolare con i parenti delle vittime o degli indagati, rappresenta davvero un qualcosa di barbaro e grottesco.
Del resto, quanto, in determinate condizioni, il diritto all'informazione possa degenerare in psicosi di massa, risulta evidenziato da quel gruppo di idioti che nei giorni scorsi si sono recati ad Avetrana a stazionare davanti casa Misseri – una dimora ancora abitata e quindi soggetta alla tutela della privacy – in una sorta di “gita turistica dell'orrore”. Questo è il vero orrore di una società avvinta al dominio della telecamera, convinta che tutto ciò che viene ripreso sia reale, il paradosso del Grande Fratello.
Il caso-Scazzi si è consumato, sin dai suoi primordi, sullo sfondo del tasto REC delle cineprese, si è definito attraverso vari fenomeni di sciacallaggio mediatico quali l'obbrobriosa condotta tenuta dalle redazioni dei più noti programmi televisivi di approfondimento giornalistico. Corrispondenti che piantonano giorno e notte Avetrana, messa in onda di video od immagini rubate violanti l'intimità di un'adolescente trucidata, zuffe clamorose per mendicare una ripresa o una battuta ogni qual volta uno dei personaggi del dramma si accinge ad uscire di casa. Il tutto viene giustificato dal diritto di cronaca e dall'avidità di nuovi aggiornamenti pretesi dall'opinione pubblica italiana.
Sorgono spontanei, dunque, alcuni quesiti: può la televisione competere con la magistratura, le forze di polizia e gli inquirenti nel corso delle indagini? Se sì, la mancanza di coordinamento fra i media e le autorità investigative non rischia di alterare le indagini stesse? L'attrazione maniacale che il caso-Scazzi continua ad esercitare sui telespettatori in che misura dipende dall'instancabile voglia di apparire davanti alle telecamere da parte di Sabrina Misseri, attualmente indagata per concorso nell'omicidio della cugina, e dalle precedenti apparizioni di altri familiari di Sara (la madre, il padre ed il fratello, oltre alle pietose interviste rilasciate dallo stesso Michele Misseri) nelle scorse settimane?
Nell'impossibilità di rispondere esaurientemente ai suddetti interrogativi, riportiamo alcune riflessioni, corredate da qualche dato.
I giornalisti devono, per diritto e dovere, INFORMARE, non INVESTIGARE quando esistono delle indagini parallele da parte delle autorità competenti. Quando l'inviata riceve in diretta il messaggino da parte dei parenti della vittima rischia soprattutto di alterare o complicare il lavoro degli inquirenti. Questi ultimi rimangono, per legge e per etica professionale, gli unici investigatori del caso, sebbene il grande pubblico di guardoni spaparanzati in poltrona pretende di risolvere l'enigma, giocando a fare gli ispettori Clouseau della situazione.
Una persona che molesta o abusa di un minore rimane un mostro da denunciare, così come resta doverosa la necessità di affrontare senza remore, in famiglia, a scuola ed in tutti i centri di aggregazione, il problema, al fine di prevenirlo. Ma di qui ad accostarsi maniacalmente agli scenari, alle vittime ed agli esecutori di una tragedia che dovrebbe far RIFLETTERE piuttosto che OSSERVARE è una condizione esplicante una sola realtà: il pubblico italiano è compulsivamente ossessionato dal caso-Scazzi.
Ammettiamo che i milioni di telespettatori del dramma non avessero manifestato il minimo interesse dinanzi a questa vicenda; ci sarebbero state le dirette, i video, gli approfondimenti, le dispute di psicologia criminale degli ultimi giorni?
Nell'ultimo anno si sono verificati oltre un centinaio di omicidi commessi da un parente stretto su di una vittima di sesso femminile: nessuno di questi è stato documentato in maniera così massiccia dal sistema mediatico. Questo è il dato su cui riflettere al di là della demagogia sbandierata da certa stampa. Il caso-Scazzi non risponde forse alle consuete logiche di strumentalizzazione di episodi di cronaca per fare odiens, soldi, pubblicità e titoli-bomba? Non è ancora una volta un mero servizio reso al consumatore-medio?
In fondo, l'unica priorità rimane quella di fare giustizia di fronte ad una morte efferata, allo spegnimento di una giovane vita. Un team di esperti lavora giorno e notte per risolvere il caso. Un giornalista serio può informare il pubblico in merito agli sviluppi sulla vicenda semplicemente aggiornandolo sui dati ufficiali emersi dalla procura di Taranto nel corso delle indagini.
Tutto ciò non avverrà in queste forme ragionevoli solo perché la maggioranza degli italiani mantiene un rapporto voyeuristico con la tragedia. Così, una triste realtà viene ancora una volta piegata all'interesse ed allo sciacallaggio, viene sottratta all'esercizio sistematico del criticismo; Sara continua ad essere uccisa dieci, cento, mille volte.
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