di Natale Zappalà
Affermiamo oggigiorno di vivere all'interno di uno stato laico, seppure tale percezione sia sovente contraddetta o sminuita sia dalle reiterate ingerenze da parte delle autorità religiose, sia dalla disinformazione imperante che identifica la communis opinio circa l'idea di aconfessionalità diffusa in Italia.
Quali sono le radici storiche del concetto di laicità dello stato?
Occorre risalire all'epoca della Glorious Revolution inglese (1688), quando John Locke (1632-1704) redigeva la sua Lettera sulla tolleranza (1689), per vedere codificati compiutamente i principi di aconfessionalità oggi in vigore presso gli ordinamenti statali moderni.
Erano tempi in cui l'Europa continentale si divideva ancora fra la teocrazia papale e i tanti monarchi assoluti tali “per grazia divina”, mentre la diffusione del Protestantesimo infiammava le guerre di religione, autentici bagni di sangue laddove il motivo fideistico nascondeva le più pragmatiche cagioni legate alla ricerca di potere e ricchezza. “Cuius regio, eius religio”, la Pace di Westfalia (1648), sottoscritta dai principali sovrani europei, aveva riaffermato l'obbligo, da parte dei sudditi, di professare lo stesso credo dei loro governanti.
La stessa Inghilterra, a partire dallo Scisma di Enrico VIII e dalla conseguente nascita della Chiesa Anglicana, era stata dilaniata dai conflitti religiosi, sino al quasi incruento colpo di mano passato alla Storia con la denominazione di “Rivoluzione Gloriosa”, la deposizione della dinastia Stuart a favore di Guglielmo d'Orange, evento che coincise con l'adozione dell'attuale forma di monarchia parlamentare, allora avanguardia giuridica del mondo conosciuto.
In questo contesto, Locke scrisse la Lettera sulla tolleranza, i cui principi-cardine sono tutt'oggi fondamento di ogni ordinamento statale laico, dalla Costituzione USA del 1787 sino ai più moderni corpus legislativi; un documento il cui fine immediato coincideva con la necessità di salvaguardare l'esistenza della Chiesa Anglicana dai tentativi di restaurazione cattolica e prevenire l'insorgere di ulteriori conflitti di natura religiosa.
L'idea-base dello scritto lockiano si individua nella depoliticizzazione della religione in qualità di scelta volontaria dettata dalla volontà personale ed intimistica del singolo.
La religiosità dei singoli non può e non deve interferire con lo Stato, a meno che essa non arrivi a turbare la concordia civile: un concetto di una semplicità sconvolgente e rivoluzionaria, e per questo svincolato da qualsiasi tentativo di distorsione o strumentalizzazione, seppure non manchino, ancora ai nostri giorni, delle ripetute ingerenze nella vita pubblica da parte degli esponenti delle più seguite confesssioni religiose.
Da Locke discende inoltre un'altra concezione di ampia portata, consistente nella demolizione dello “Stato Etico”, cioè quell'utopico ordinamento che aveva la pretesa di “educare” i cittadini, tanto vagheggiato da certa letteratura; nell'accezione lockiana, diversamente, lo Stato non si arroga dei compiti morali nei confronti dei cittadini, ma alcuni e più realistici obiettivi inerenti il mantenimento della sicurezza delle persone e dei beni che compongono la società civile nel suo complesso.
Tali sono le radici storiche dell'idea di laicità statale: qualsiasi discussione in merito dovrebbe essere vanificata dalla chiarezza stessa dell'argomento. Eppure, se ne dibatte ancora; evidentemente, non tutti hanno compreso Locke o, semplicemente, non tutti sanno che la lezione del filosofo inglese risulta oggigiorno alla base della Legge al quale i cittadini devono riservare obbedienza.
In foto, il filosofo inglese John Locke
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