di Natale Zappalà (*)
Le religioni per così
dire “statali”
(quelle istituzionalizzate, o comunque percepite come “ufficiali”
all'interno di un gruppo umano) hanno sempre svolto, da un
punto di vista strettamente politico, il delicato ruolo di inquadrare
il corpo civico, tenendone a freno e condizionandone il pensiero,
attraverso ciechi dogmatismi o formalismi meccanici. D'altro canto,
gli uomini di potere, consci di tale pregevole valenza, hanno sempre
saputo celare dietro uno spietato pragmatismo un'ipocrita apparenza
di pietas; in altre parole, mostrandosi ligi nel seguire
ideologie, prescrizioni e ritualismi delle religioni tradizionali
agli occhi del popolino, nel privato se la ridevano dell'ignoranza e
della creduloneria della gente comune.
Tanto per fare qualche
esempio illustre, nell'Egitto della XVIII Dinastia (XIV sec. a.C.),
il faraone Akhenaton inventò la prima forma documentata di
monoteismo, il culto del disco solare Aton, soprattutto per sottrarre
alla casta scribo-sacerdotale devota di Amon-Ra (il sole mitologico)
il prestigio derivante dal monopolio delle pratiche religiose
connesse con templi, sacrifici e offerte. Questioni politiche ed
economiche dunque, sapientemente mascherate dal ricorso
all'ultramondano.
All'interno del mondo
greco-romano la religione – il cui ciclo di festività aveva anche
la funzione di scandire il tempo e ricompattare le cittadinanze
attraverso processioni o banchetti rituali – si risolveva
essenzialmente in un legame contrattuale fra uomini e dei: i primi
onoravano i secondi, riservandogli l'onore (timé) che gli
spettava, il tutto al fine di scongiurare un ipotetico castigo
divino; questo, almeno, era quello che credevano le masse. Tale
aspetto prettamente ritualistico induceva tutti coloro che
avvertivano l'esigenza di intrecciare rapporti più “spirituali”
con il mondo soprannaturale, rifugiandosi in culti maggiormente
coinvolgenti come quelli misterici, durante i quali i fedeli
ritenevano di instaurare un contatto diretto (detto di sympatheia,
«patire
insieme»)
con la divinità. Ciò non impediva a personaggi autorevoli
come Alcibiade nell'Atene del V sec. a.C. di sbeffeggiare i celebri
misteri eleusini, parodiando in casa propria quelle stesse cerimonie,
per altro segretissime e aperte ai soli iniziati, in cui i suoi
concittadini mostravano di credere così sinceramente.
Ma il primo posto nella
speciale classifica dei grandi dissimulatori religiosi dell'antichità
spetta sicuramente a Giulio Cesare, capace di conciliare una spiccata
e snob laicità fattuale con l'esercizio della massima autorità
sacrale romana, il pontificato massimo. In un contesto dove ogni
azione pubblica era accompagnata dall'esecuzione di riti
beneaguranti, gli auspicia, fu capace, quando inciampò
malamente sbarcando in Africa durante la guerra civile, di volgere in
positivo il presagio funesto, gridando: «Teneo
te, Africa!»
(«Ti
tengo, Africa!»).
L'avvento
del cristianesimo non mutò l'atteggiamento degli uomini di potere:
Costantino ne liberalizzò il culto per convenienza politica, avendo
scorto nell'organizzazione ecclesiale, naturalmente gerarchizzata e
dotata di un controllo capillare sul territorio, un efficace potere
suppletivo delle autorità municipali romane in decadenza.Tuttavia,
il buon imperatore non ne volle mai sapere di battesimo, se non in
punto di morte e, per di più, ricevendo il sacramento da un vescovo
ariano, un “eretico” per la Chiesa di Roma.
La
lista degli aneddoti sulle dissimulazioni religiose dei potenti
sarebbe troppo lunga se si enumerassero tutti i casi che affollano la
Storia. Basterà, limitandoci alla Storia dell'Occidente e alla
categoria dei papi, precisare che molti di essi, specie i più dotti
(come Silvestro II, il “papa-mago” dell'anno Mille o Pio II, al
secolo l'umanista, nonché autore di racconti erotici, Enea Silvio
Piccolomini), furono tacciati di “ateismo”, proprio perché, al
riparo delle esigenze spirituali delle moltitudini, se ne ridevano di
dogmi e prescrizioni. Per non parlare poi di tutti quei pontefici –
da Bonifacio VIII ad Alessandro VI, i riferimenti pullulano – che
fornicarono, procrearono, specularono, raccomandarono e, soprattutto,
strumentalizzarono politicamente il proprio primato sui cattolici,
con buona pace della povertà evangelica, dei dieci comandamenti e di
tutte le norme alle quali i fedeli erano invitati a conformarsi; «fa'
come il prete dice, e non come il prete fa!», il motto è
azzeccatissimo. Persino oggigiorno i beninformati sono pronti a
giurare che nel segreto delle stanze vaticane il teologo Benedetto
XVI la pensi diversamente da ciò che sostiene in pubblico
circa la transustanziazione, l'omosessualità, il celibato dei preti,
i rapporti sessuali prematrimoniali o sull'uso del preservativo.
Un
uomo di potere, se si mostra “pio” risulta sovente bene accetto
agli occhi del popolo, e questo a prescindere dal ruolo che egli
ricopre; non a caso i capi di stato sono soliti farsi riprendere
dalle telecamere quando vanno in chiesa o in moschea. Insomma, la
Storia non è cambiata, e come sosteneva il cardinale Richelieu
«saper dissimulare è la scienza dei re»; specie quando si tratta
di religione, aggiungiamo noi.
(*) Fonte: www.natalezappala.it
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