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domenica 31 ottobre 2010

"Il nostro caro angelo": un inno alla libertà religiosa

a cura di Natale Zappalà


La fossa del leone
è ancora realtà
uscirne è impossibile per noi
è uno slogan falsità
Il nostro caro angelo
si ciba di radici e poi
lui dorme nei cespugli sotto gli alberi
ma schiavo non sarà mai
Gli specchi per le allodole
inutilmente a terra balenano ormai
come prostitute che nella notte vendono
un gaio un cesto d'amore che amor non è mai
Paura e alienazione
e non quello che dici tu
le rughe han troppi secoli oramai
truccarle non si può più
il nostro caro angelo
è giovane lo sai
le reti il volo aperto gli precludono
ma non rinuncia mai
cattedrali oscurano
le bianche ali bianche non sembran più
Ma le nostre aspirazioni il buio filtrano
traccianti luminose gli additano il blu

Il nostro caro angelo”, titolo del brano e dell'album del 1973, costituisce probabilmente uno dei pezzi più sofisticati, testualmente e musicalmente, del duo Mogol-Battisti.
L'apparente ermeticità del testo viene spiegata dallo stesso paroliere nel corso di un'intervista rilasciata a Claudio Bernieri (1978):

<< Il nostro caro angelo è un discorso contro la Chiesa! L'hai sentita? Il nostro caro angelo è l'ideale. Effettivamente è un testo un po' difficile, però è autentico. Guarda che è semplicissimo, te lo posso spiegare in tre parole: voglio dire che l'ideale dell'uomo è distrutto man mano che si vive, perché è chiaro che chi vive con le ali viene ferito. Allora si mettono i remi in barca e si comincia a fare il discorso del compromesso; qui c'è proprio il tentativo di difendere questo ideale, le ali bianche non servono più. L'uomo condannato da questa Chiesa, visto come un peccatore, oscura sempre di più: è un discorso contro la Chiesa fatto con mezzo milione di copie, è un discorso sociale, assolutamente>>.

Alla luce della spiegazione di Mogol, l'ascolto de Il nostro caro angelo acquista molto più significato e fascino, la lettura del testo si arrichisce di nuove riflessioni.
Notiamo come, specie nei versi finali (le reti il volo aperto gli precludono/ma non rinuncia mai/ cattedrali oscurano/ le bianche ali bianche non sembran più/ ma le nostre aspirazioni il buio filtrano/traccianti luminose gli additano il blu) venga impiegato il consueto linguaggio salvifico, espresso attravarso l'opposizione di luce ed ombra, adoperato durante i sermoni, ma con una prospettiva, se così può definirsi, “rovesciata”. Naturalmente si tratta di un'interpretazione soggettiva, per amore di scientificità precisiamo che non è assolutamente detto che quelle che seguono equivalgano alle reali intenzioni scrittorie dell'autore.
L'ideale dell'essere umano, allegoria della LUCE mogoliana, una libertà etica coerente e consapevole, viene OSCURATA dal BUIO delle CATTEDRALI, dalle RUGHE vecchie di TROPPI SECOLI, dal dogmatismo e dal ritualismo prettamente ecclesiastico.
Eppure, le NOSTRE ASPIRAZIONI rimangono talvolta in grado di FILTRARE IL BUIO, di emergere al di là della cortina incancrenita delle costrizioni religiose.
Sono i sentieri svavillanti di verità, le TRACCIANTI LUMINOSE, ad indicare (ADDITARE) il cammino da seguire per arrivare al BLU, metafora della felicità, il cui corrispondente semantico nell'accezione cristiana è il concetto di beatitudine.
Lasciamo ora spazio a questo splendido pezzo, in una versione sperimentale dal vivo.

La "Preghiera a Dio" di Voltaire

L'attualità del Trattato sulla Tolleranza di Voltaire (1763) risulta disarmante, persino in questi tempi di oscurantismo e barbarie che hanno assunto le forme seducenti della modernità e della tecnocrazia.
La Preghiera a Dio costituisce probabilmente il punto più alto del deismo filosofico settecentesco, nonché un testo programmatico sulla valenza etica della tolleranza religiosa difficilmente confutabile, con buona pace delle teologie passate, presenti e future.
La dedichiamo ai giovani ed alla speranza di un futuro diverso.
(N.Z.)

Non è più dunque agli uomini che mi rivolgo; ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi, di tutti i tempi:se è lecito che delle deboli creature, perse nell'immensità e impercettibili al resto dell'universo, osino domandare qualche cosa a te, che tutto hai donato,a te, i cui decreti sono e immutabili e eterni, degnati di guardare con misericordia gli errori che derivano dalla nostra natura.Fa' sì che questi errori non generino la nostra sventura.Tu non ci hai donato un cuore per odiarci l'un l'altro, né delle mani per sgozzarci a vicenda;
fa' che noi ci aiutiamo vicendevolmente a sopportare il fardello di una vita penosa e passeggera. Fa' sì che le piccole differenze tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi,tra tutte le nostre lingue inadeguate, tra tutte le nostre usanze ridicole,tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate,tra tutte le nostre convinzioni così diseguali ai nostri occhi e così uguali davanti a te,insomma che tutte queste piccole sfumature che distinguono gli atomi chiamati "uomini" non siano altrettanti segnali di odio e di persecuzione.Fa' in modo che coloro che accendono ceri in pieno giorno per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole;che coloro che coprono i loro abiti di una tela bianca per dire che bisogna amarti, non detestino coloro che dicono la stessa cosa sotto un mantello di lana nera;che sia uguale adorarti in un gergo nato da una lingua morta o in uno più nuovo.Fa' che coloro il cui abito è tinto in rosso o in violetto, che dominano su una piccola parte di un piccolo mucchio di fango di questo mondo,e che posseggono qualche frammento arrotondato di un certo metallo, gioiscano senza inorgoglirsi di ciò che essi chiamano "grandezza" e "ricchezza",e che gli altri li guardino senza invidia: perché tu sai che in queste cose vane non c'è nulla da invidiare, niente di cui inorgoglirsi.Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli!Abbiano in orrore la tirannia esercitata sulle anime,come odiano il brigantaggio che strappa con la forza il frutto del lavoro e dell'attività pacifica!Se sono inevitabili i flagelli della guerra, non odiamoci, non laceriamoci gli uni con gli altri nei periodi di pace,ed impieghiamo il breve istante della nostra esistenza per benedire insieme in mille lingue diverse,dal Siam alla California, la tua bontà che ci ha donato questo istante.

martedì 19 ottobre 2010

Il caso-Scazzi e lo sciacallaggio mediatico

di Natale Zappalà

Il caso di Avetrana: un dramma disumano del quale è doveroso informare il pubblico. Che l'efferato omicidio della piccola Sara Scazzi debba costituire un incentivo ulteriore per tutte le numerose vittime di molestie ed abusi sessuali al fine di denunciare i colpevoli, risulta altrettanto lapalissiano. L'omertà, i tabù e le reticenze con le quali vengono sovente affrontati ed occultati i reati a sfondo sessuale rimangono i nemici da combattere, al pari dei carnefici che si macchiano di tali atrocità.
Tuttavia, confondere il diritto di cronaca, libertario ed inalienabile, con un grottesco voyeurismo dettato dalla possibilità di monitorare 24 ore su 24 l'abitazione-scenario del delitto con tanto di di comunicazione-live via sms o in forma epistolare con i parenti delle vittime o degli indagati, rappresenta davvero un qualcosa di barbaro e grottesco.
Del resto, quanto, in determinate condizioni, il diritto all'informazione possa degenerare in psicosi di massa, risulta evidenziato da quel gruppo di idioti che nei giorni scorsi si sono recati ad Avetrana a stazionare davanti casa Misseri – una dimora ancora abitata e quindi soggetta alla tutela della privacy – in una sorta di “gita turistica dell'orrore”. Questo è il vero orrore di una società avvinta al dominio della telecamera, convinta che tutto ciò che viene ripreso sia reale, il paradosso del Grande Fratello.
Il caso-Scazzi si è consumato, sin dai suoi primordi, sullo sfondo del tasto REC delle cineprese, si è definito attraverso vari fenomeni di sciacallaggio mediatico quali l'obbrobriosa condotta tenuta dalle redazioni dei più noti programmi televisivi di approfondimento giornalistico. Corrispondenti che piantonano giorno e notte Avetrana, messa in onda di video od immagini rubate violanti l'intimità di un'adolescente trucidata, zuffe clamorose per mendicare una ripresa o una battuta ogni qual volta uno dei personaggi del dramma si accinge ad uscire di casa. Il tutto viene giustificato dal diritto di cronaca e dall'avidità di nuovi aggiornamenti pretesi dall'opinione pubblica italiana.
Sorgono spontanei, dunque, alcuni quesiti: può la televisione competere con la magistratura, le forze di polizia e gli inquirenti nel corso delle indagini? Se sì, la mancanza di coordinamento fra i media e le autorità investigative non rischia di alterare le indagini stesse? L'attrazione maniacale che il caso-Scazzi continua ad esercitare sui telespettatori in che misura dipende dall'instancabile voglia di apparire davanti alle telecamere da parte di Sabrina Misseri, attualmente indagata per concorso nell'omicidio della cugina, e dalle precedenti apparizioni di altri familiari di Sara (la madre, il padre ed il fratello, oltre alle pietose interviste rilasciate dallo stesso Michele Misseri) nelle scorse settimane?
Nell'impossibilità di rispondere esaurientemente ai suddetti interrogativi, riportiamo alcune riflessioni, corredate da qualche dato.
I giornalisti devono, per diritto e dovere, INFORMARE, non INVESTIGARE quando esistono delle indagini parallele da parte delle autorità competenti. Quando l'inviata riceve in diretta il messaggino da parte dei parenti della vittima rischia soprattutto di alterare o complicare il lavoro degli inquirenti. Questi ultimi rimangono, per legge e per etica professionale, gli unici investigatori del caso, sebbene il grande pubblico di guardoni spaparanzati in poltrona pretende di risolvere l'enigma, giocando a fare gli ispettori Clouseau della situazione.
Una persona che molesta o abusa di un minore rimane un mostro da denunciare, così come resta doverosa la necessità di affrontare senza remore, in famiglia, a scuola ed in tutti i centri di aggregazione, il problema, al fine di prevenirlo. Ma di qui ad accostarsi maniacalmente agli scenari, alle vittime ed agli esecutori di una tragedia che dovrebbe far RIFLETTERE piuttosto che OSSERVARE è una condizione esplicante una sola realtà: il pubblico italiano è compulsivamente ossessionato dal caso-Scazzi.
Ammettiamo che i milioni di telespettatori del dramma non avessero manifestato il minimo interesse dinanzi a questa vicenda; ci sarebbero state le dirette, i video, gli approfondimenti, le dispute di psicologia criminale degli ultimi giorni?
Nell'ultimo anno si sono verificati oltre un centinaio di omicidi commessi da un parente stretto su di una vittima di sesso femminile: nessuno di questi è stato documentato in maniera così massiccia dal sistema mediatico. Questo è il dato su cui riflettere al di là della demagogia sbandierata da certa stampa. Il caso-Scazzi non risponde forse alle consuete logiche di strumentalizzazione di episodi di cronaca per fare odiens, soldi, pubblicità e titoli-bomba? Non è ancora una volta un mero servizio reso al consumatore-medio?
In fondo, l'unica priorità rimane quella di fare giustizia di fronte ad una morte efferata, allo spegnimento di una giovane vita. Un team di esperti lavora giorno e notte per risolvere il caso. Un giornalista serio può informare il pubblico in merito agli sviluppi sulla vicenda semplicemente aggiornandolo sui dati ufficiali emersi dalla procura di Taranto nel corso delle indagini.
Tutto ciò non avverrà in queste forme ragionevoli solo perché la maggioranza degli italiani mantiene un rapporto voyeuristico con la tragedia. Così, una triste realtà viene ancora una volta piegata all'interesse ed allo sciacallaggio, viene sottratta all'esercizio sistematico del criticismo; Sara continua ad essere uccisa dieci, cento, mille volte.

lunedì 18 ottobre 2010

La memoria storica.


di Pasqualino Placanica

L’associazione di idee Minatori Cileni/ Grande Fratello, per quanto “blasfema”, apre a considerazioni di vario tipo tra cui quella senz’altro valida esternata dall’amico Laurendi nel post “quando l’informazione è peggio dell’ignoranza” che condivido perfettamente. Io però vorrei trattare un altro aspetto  della vicenda. Quello che riguarda la memoria storica. Cosa c’entri la memoria storica con il Grande Fratello è presto detto: immaginiamo che la vicenda dei Minatori Cileni si svolga 20 anni fa, e si concluda con il medesimo felice risultato, con le medesime scene di festeggiamenti diffuse via etere sul tutto il pianeta. Naturalmente nessuno potrebbe fare paragoni con il reality show, semplicemente perché ancora il concetto stesso non esiste. Dieci anni dopo, la prima edizione del Grande Fratello. Evento di primo piano, non si parla d’altro negli ambienti dello spettacolo; all’uscita dalla casa del vincitore, scene  simili a quelle della miniera ma…nessuno si sognerebbe di fare paragoni con il salvataggio dei Minatori di dieci anni prima! È il rapporto Minatori-Grande Fratello che fa notizia, non il contrario, e questo perché la massa tende a tenere presente ed a valorizzare le cose frivole, il gossip, le stupidaggini. La storia, quella vera, quella degli avvenimenti che hanno cambiato il mondo (in bene o in male) non interessa alla moltitudine, rimane materia  per pochi. Pertanto l’episodio dei Minatori Cileni, qualora fosse avvenuto nell’ordine temporale che ho ipotizzato prima, sarebbe stato presto archiviato. Cosa che invece non è purtroppo per i reality show che, vuoi perché riproposti sotto varie salse, vuoi perché grazie ai media ed agli interessi che vi girano intorno esaltati continuamente, arrivano ad essere paragonati (come dicevamo) ad eventi che in quanto a serietà ed importanza reale sono ad anni luce di distanza.  D’altronde è una costante che si ripete da millenni: se l’uomo facesse tesoro delle esperienze passate non ripeterebbe gli stessi errori; in realtà non è che le ignori, semplicemente le dimentica. Con la differenza che i nostri antenati non avevano la tecnologia, non avevano la possibilità di attingere ad archivi immensi come quelli del web. Noi non abbiamo giustificazioni, solo la pigrizia e l’apatia che sembrano avvolgere le nuove generazioni.

sabato 16 ottobre 2010

Quando l'informazione è peggio dell'ignoranza



di Vincenzo Laurendi

Abbiamo seguito un po' tutti, con apprensione e partecipazione, la terribile avventura di 33 minatori in Cile. Quasi 70 giorni fa questi poveretti sono rimasti intrappolati a 700 metri di profondita' nella miniera di Copiago,  e sarebberero dovuti uscire a Natale, ma per fortuna, son riusciti ad estrarli con un mese e mezzo di anticipo. Tutto bello, bellissimo, un miliardo di persone ha seguito il salvataggio in diretta il Cile è in festa. Eppure, c’è chi è stato capace di ridurre questa notizia a qualcosa di puramente ridicolo. Infatti il tg5 ha mandato in onda il servizio sul recupero dei minatori paragonandoli all’uscita dei concorrenti del Grande Fratello, un bellissimo “ritorno alla vita”. Cito le abominevoli parole del servizio: “capita di assistere ad un evento toccante ed inedito come la liberazione dei minatori cileni ed avere la strana sensazione di averlo già visto. È l’uscita di Mario Sepùlveda, il secondo dei minatori a sbucare dalla capsula, ad avere qualcosa di familiare. Urla, risate, abbracci. È la gioia del ritorno alla vita. E però, quall’uscita spettacolare riporta alla mente quella, certo molto meno drammatica, e volontaria di quella dei concorrenti del Grande Fratello. A colpo d’occhio, le sequenze sono identiche. Ed in un certo senso, è identico lo stato d’animo di chi esce dalla cattività, che sia in miniera o in un reality, è l’urlo dell’uomo che si riappropria della vita. E che la assapora, come mai prima. Quando nacque, dieci anni fa, il GF era proprio questo, un grande esperimento sociologico, prima ancora che mediatico, per vedere come reagiscono, prigionieri per circa tre mesi, uomini e donne spiati giorno e notte con le telecamere. Ma ancora una volta, la realtà ha superato la fantasia, perché tutta la vicenda dei 33 minatori assomigliava ad un reality. Li abbiamo spiati mentre parlavano attraverso il video con le loro famiglie, quasi fossero in un confessionale, e li osserviamo curiosi per una volta che il dramma volge in favola bella. Un grande reality con un premio che più grande non si può, e tutti vincitori. ” Da questo servizio emerge un solo, grande perdente: il giornalismo vero, seguito dall’umana dignità. Non si possono paragonare 33 uomini che si spaccano le mani e la schiena a lavorare in miniera, che portano a casa quei quattro soldi giusti giusti (e a volte nemmeno) per sfamare le proprie famiglie, con degli emeriti cretini che si rinchiudono volontariamente (come ribadito anche dal servizio) in un bunker a non fare nulla se non allenarsi in spericolate coreografie con il tema di Ufo Robot o in test (sempre falliti) di grammatica o di cultura generale. Non si possono paragonare persone che vengono “spiate” per osservare il loro stato di salute a gentaglia che viene spiata volontariamente. Nessuno ha chiesto ai concorrenti del GF di entrare nel bunker e chiudersi tre mesi, mentre c’è chi lo deve fare per necessità, e per giunta, rischiando la vita. Eppure, mentre gli scavatori non hanno che miserrimo premio, i cretini vengono coperti d’oro, migliaia di euro, fama, notorietà e servizi sui giornali per…niente. Assolutamente nulla. Il vuoto totale. Ci sono testate giornalistiche che mentono sapendo di mentire, come quando parlano di “assoluzioni” mentre in realtà si tratta di “caduta in prescrizione”, concetti quasi diametralmente opposti, oppure, quando negano l’esistenza di alcune notizie, o storpiano i nomi di coloro che attaccano (giustamente) coloro che poi sono i padroni del redattore del tg, o peggio ancora, costruiscono telegiornali di mezz’ora strutturati in questo modo: 3 minuti a raffica di tragedie, sparatine, ammazzamenti, estorsioni, attentati, cadute di Wall Street e subito dopo, 27 minuti di backstages di calendari (con nudi in fascia protetta quando proprio loro fanno i moralisti), le notizie sugli strafalcioni dell’ultima pupa ignorante apparsa in tv, o del settantaseiesimo fidanzato della soubrette che ne cambia un centinaio all’anno. È questo il giornalismo italiano? Diceva  Martin Luther King:  “Nulla al mondo è più pericoloso che un'ignoranza sincera ed una stupidità coscienziosa”. Siamo arrivati al punto in cui essere informati è molto peggio.

mercoledì 13 ottobre 2010

L'odierna società è fallita!

di Vincenzo Laurendi

In un mese o poco piu' sono successi degli eventi che, a persone dotate di un minimo di sensibilita', farebbero accapponare la pelle. 
Partiamo da Messina. Al Policlinico si e' scatenata una rissa tra ginecologi, le cui scintille sono state i soldi da una parte ed il potere dall'altra, mentre la povera puerpera, che aveva assolutamente bisogno di un cesareo, si sentiva male e per pochissimo non ha perso il bambino.
Trasferiamoci ad Avetrana, un tranquillo paesino pugliese, sconvolto da una delle più grandi tragedie che abbiano mai investito la Puglia e l’Italia. Sarah Scazzi, una ragazzina quindicenne, scompare nel nulla. Si scatenano le congetture, come la ragazzata, la fuga d’amore, eccetera. Invece, era una fuga disperata, una fuga da uno zio che abusava di lei e non aveva il coraggio di denunciare. E questa tragedia si conlude qualche giorno fa, e cosa peggiore, in diretta. Federica Sciarelli, conduttrice di “Chi l’ha visto”, è in diretta con la madre della ragazza, quando le annuncia che lo zio ha confessato di aver ucciso ed occultato il cadavere della nipote. La poveretta è allibita, fissa il tavolino della stanza in cui è seduta senza riuscire a parlare o rispondere, ormai denudata, davanti a migliaia di telespettatori, della propria dignità e del rispetto del suo personale dolore. Dopo molto tempo si rende conto che è meglio chiudere il collegamento, quando ormai lo scoop era fatto. La ragazza è morta, è confermato, viene trovato il cadavere in posizione fetale (ed anche qui atti di sciacallaggio, come le foto del cadavere scattate all’obitorio che hanno fatto il giro di internet, vere o false che siano), uccisa dallo zio pedo-necrofilo. Quindi, alla tragedia si aggiungono dei contorni più neri e perversi possibili. Invece, a Milano un tassista è stato picchiato a sangue per aver investito un cane, fermato da più persone che si sono gettate su di lui. Ma non solo. Una delle ragazze coinvolte ha confessato, e le è stata bruciata la macchina, oltre ad aver ricevuto pesanti minacce. Ieri, 12 ottobre 2010, però, sarà una giornata da ricordare.
A Roma, ripreso dalle telecamere, si accende un diverbio tra un ragazzo di 20 anni e una donna di 32. I due arrivano alle mani, e la donna ha la peggio. Colpita con un pugno, cade a terra e batte con la nuca, finendo in coma. Il ragazzo va via, ma la tragedia non è questa. Vari passanti vedono la donna a terra, ma nessuno le presta soccorso. Chi si affretta ad oltrepassarla, chi guarda, chi addirittuta scatta foto coi telefonini. Passa svariato tempo prima che venga soccorsa, tempo che potrebbe essere prezioso.
E ieri sera, al Galileo Ferraris di Genova, è andata di scena Italia-Serbia. O meglio, no. Dei facinorosi slavi, animati da motivi politici (quindi, che col calcio non c’entravano nulla), divelgono reti, le tagliano con le pinze, rompono le pareti di plexiglas con gli schienali dei seggiolini. Insomma, scatenano un inferno. La Uefa decide, dopo 38’ di ritardo, di far giocare ugualmente. Poi, al settimo minuto, all’ennesimo lancio di petardi, l’arbitro scozzese Thomson decide di sospendere la partita definitivamente. Tutto rovinato. Lo scanadalo non consta solo nell’accaduto, ma anche nella totale impreparazione ed indecisione dell’Uefa. La rabbia del giocatore Stankovic e l’incredulità disarmata del gigante Zigic sono le foto della partita. Ha detto Prandelli che prima della partita, il portiere Stojkovic, nel loro spogliatoio, “tremava come una foglia”, aggredito da dei (permettetemi il termine) perfettissimi idioti che gli hanno lanciato addosso dei fumogeni.
Montezuma, 600 anni fa, strappava il cuore a vittime ancora vive per sacrificarle al Dio Sole, e ciò aveva aizzato il “perbenismo” di Cortès che decise il genocidio di una specie “senza civiltà e senza anima”. In 600 anni, però, non è cambiato granchè. Ci siamo solo più raffinati. Perché, diciamolo chiaramente, la società moderna è fallita miseramente. Figli che ammazzano i genitori, magari per due soldi, madri che gettano neonati nella spazzatura o nelle lavatrici, gente che preferisce dar più credito a ciarlatani strapagati che non hanno mai visto ma che sono in televisione, anziché a coloro che definiscono “amici”, ma che fanno cose più umili ma magari più belle ed autentiche, gente che se ne frega uno dell’altro, in un’epoca dove le pugnalate figurate fanno più male di quelle vere, dove l’amore e l’amicizia sono diventati sentimenti di convenienza.
Forse l’articolo è duro, crudo, cruento, scomodo. Ma la speranza è che sia la secchiata d’acqua gelida che ci svegli dal nostro letto di torpore, il colpo di faccia sul muro di una realtà surreale che piano piano ci sta sopraffacendo. Ormai ci stiamo desensibilizzando, ci stiamo abituando all’orrore, e la televisione ha dato il suo bel contributo, ad esempio, nel trattare terribili tragedie come spettacolo (vedi Garlasco, Erba e Cogne). Come ha detto il grande Caparezza “fa male come un dente che si caria/ il mio debole per le vittime della storia;/ le hanno odiate, umiliate, lasciate alla sorte/ per fargli la corte/ dopo la morte.” E la storia di vittime ne ha fatte tante, troppe. Come, tanto per citarne alcuni, il genocidio degli Indiani, degli Ebrei, degli Armeni, dei Tutsi, degli Incas, degli Aztechi e dei Maya. Proprio questi ultimi si stanno vendicando alla grande, perché ci hanno preso in pieno. Non ci sarà bisogno di catastrofi naturali o innaturali, per autoannichilirci. Il 2012 è già qui.