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Musica & Letteratura

Lo staff di Agoghé propone ai suoi lettori un interessante esperimento consistente nell'abbinare l'ascolto di alcuni evergreens della musica d'autore italiana ed internazionale a un classico della letteratura legato da un filo concettuale comune. Il tutto al fine di riscoprire e valorizzare il volto libero e sincero dell'arte al grande pubblico dei giovanissimi.
Per suggerimenti o commenti scrivete a progettoagoghe@hotmail.it oppure utilizzate la pagina Facebook del progetto (link). Grazie anticipatamente a nome dello staff.


"Stelle" (Francesco Guccini)


"L'infinito" (Giacomo Leopardi)

«Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare»

ACCOSTAMENTO A CURA DI STEFANIA GUGLIELMO
"Lonely day" (Sistem of a Down)


"Solitudine" (John Keats)

Solitudine, se vivere devo con te,
Sia almeno lontano dal mucchio confuso
Delle case buie; con me vieni in alto,
Dove la natura si svela, e la valle,
Il fiorito pendio, la piena cristallina
Del fiume appaiono in miniatura;
Veglia con me, dove i rami fanno dimore,
E il cervo veloce, balzando, fuga
Dal calice del fiore l'ape selvaggia.
Qui sarei felice anche con te. Ma la dolce
Conversazione d'una mente innocente, quando le parole
Sono immagini di pensieri squisiti, è il piacere
Dell'animo mio. E' quasi come un dio l'uomo
Quando con uno spirito affine abita in te.

"Senza di te tornavo" (Pier Paolo Pasolini)

Senza di te tornavo, come ebbro,
non più capace d'esser solo, a sera
quando le stanche nuvole dileguano
nel buio incerto.
Mille volte son stato così solo
dacché son vivo, e mille uguali sere
m'hanno oscurato agli occhi l'erba, i monti
le campagne, le nuvole.
Solo nel giorno, e poi dentro il silenzio
della fatale sera. Ed ora, ebbro,
torno senza di te, e al mio fianco
c'è solo l'ombra.
E mi sarai lontano mille volte,
e poi, per sempre. Io non so frenare
quest'angoscia che monta dentro al seno;
essere solo.

ACCOSTAMENTO A CURA DI FRANCESCO DENARO

"Lettera" (Francesco Guccini)

"Il Passero Solitario" (G. Leopardi)

D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finché non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.

Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo de' provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.

Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all'altrui core,
E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.

ACCOSTAMENTO A CURA DI STEFANIA GUGLIELMO


"Dio è morto" (Francesco Guccini)


F. Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 125

L’uomo folle. – Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro. “Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad una storia piú alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguí – non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre piú lontana da loro delle piú lontane costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”. Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”.

ACCOSTAMENTO A CURA DI SALVATORE BELLANTONE

Colonna Sonora "Braveheart" - James Horner (1995)


Risposta del Capo Nativo-americano Seattle al Presidente degli Stati Uniti Franklin Pierce - 1852

CAPO SEATTLE
Quando il Gran Capo di Washington manda a dire che desidera acquistare la nostra terra, egli chiede molto da noi. Il Gran Capo manda a dire che ci riserverà un'area in modo che noi possiamo vivere comodamente. Egli sarà il nostro padre e noi saremo suoi figli. Così noi considereremo la Vostra offerta di comprare la nostra terra. Ma non sarà facile. Perché questa terra è sacra per noi. Questa acqua scintillante che scende nei ruscelli e nei fiumi non è solo acqua ma il sangue dei nostri antenati. Se vi vendiamo la terra dovrete ricordare che è sacra, e dovrete insegnare ai vostri figli che è sacra, e che ogni immagine spirituale riflessa nella chiara acqua dei laghi parla di avvenimenti e ricordi nella vita del mio popolo. Il mormorio dell'acqua è la voce del padre di mio padre. I fiumi sono nostri fratelli, spengono la nostra sete. I fiumi trasportano le nostre canoe e alimentano i nostri figli. Se vi vendiamo la nostra terra dovrete ricordarvi e insegnare ai vostri bambini che i fiumi sono nostri fratelli, e vostri, e che dovrete d'ora innanzi riservare ai fiumi tutte le gentilezze che riservereste a ogni fratello. Sappiamo che l'uomo bianco non comprende il nostro modo di pensare. Un pezzo di terra è per lui uguale a quello vicino perché egli è lo straniero che viene di notte e prende dalla terra tutto ciò di cui ha bisogno. La sua avidità divorerà la terra e lascerà dietro a sé solo il deserto. Io non lo so. I nostri modi di pensare sono diversi dai vostri. La vista delle vostre città fa male agli occhi dell'uomo rosso, forse perché l'uomo rosso è un selvaggio e non capisce. Non c'è luogo tranquillo nelle città dell'uomo bianco. Nessun luogo per ascoltare l'aprirsi delle foglie in primavera o il fruscio delle ali di un insetto. Ma può darsi che questo sia perché io sono un selvaggio e non capisco. Già il solo fracasso sembra un insulto alle orecchie. E come si può chiamare vita se non si riescono ad ascoltare il grido solitario del capriolo e le discussioni delle rane di notte attorno ad uno stagno? Io sono un uomo rosso e non capisco. L'indiano preferisce il sommesso suono del vento che increspa la superficie dello stagno e l'odore del vento stesso, purificato da una pioggia di mezzogiorno o profumato dai pini. L'aria è preziosa per l'uomo rosso perché tutte le cose dividono lo stesso respiro, la bestia, l'albero, l'uomo, tutti dividono lo stesso respiro. L'uomo bianco non sembra notare l'aria che respira. Come un uomo in agonia da molti giorni egli è insensibile alla puzza. Ma se vi vendiamo la nostra terra dovrete ricordare che l'aria per noi è preziosa, che l'aria divide il suo spirito con tutta la vita che sostiene. Il vento che diede al nostro avo il suo primo respiro riceve anche il suo ultimo sospiro. E se vi venderemo la nostra terra dovete tenerlo separato e considerarlo come un posto dove persino l'uomo bianco possa andare a sentire il vento addolcito dai fiori di prateria. Così considereremo la Vostra offerta di acquistare la nostra terra. Se decideremo di accettare, io porrò una condizione: l'uomo bianco dovrà trattare le bestie di questa terra come sue sorelle. Io sono un selvaggio e non capisco altro modo. Cosa è un uomo senza le bestie? Se tutte le bestie se ne fossero andate, l'uomo morirebbe di grande solitudine di spirito perché qualunque cosa succeda alle bestie, presto succede all'uomo. Tutte le cose sono collegate. Dovrete insegnare ai Vostri bambini che la terra sotto i loro piedi è la cenere dei nostri avi. Affinché essi rispettino la terra dite ai Vostri bambini che la terra è ricca delle vite della nostra razza. Insegnate ai vostri bambini ciò che noi abbiamo insegnato ai nostri bambini: che la terra è nostra madre. Qualunque cosa succeda alla terra, succede ai figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra sputano su se stessi. Questo noi sappiamo: la terra non appartiene all'uomo ma l'uomo appartiene alla terra. Questo noi sappiamo. Tutte le cose sono collegate come il sangue che unisce una famiglia. Tutte le cose sono collegate. Qualunque cosa succeda alla terra succede ai figli della terra. L'uomo non ha tessuto la trama della vita: egli è un filo. Qualunque cosa egli faccia alla trama egli lo fa a se stesso. Anche l'uomo bianco, il cui Dio cammina e parla con lui da amico, non può essere esonerato dal destino comune. Potremmo essere fratelli, dopo tutto. Vedremo. Noi sappiamo una cosa che l'uomo bianco potrebbe scoprire un giorno: il nostro Dio è lo stesso Dio. Ora potreste pensare che voi lo possediate come desiderate possedere la nostra terra, ma non potete. Egli è il Dio dell'uomo e la Sua misericordia è uguale per l'uomo rosso e per l'uomo bianco. Questa terra è per Lui preziosa e trattarla male è accumulare disprezzo sul suo Creatore. Anche i bianchi dovranno passare, forse prima di tutte le altre tribù. Contaminate il Vostro letto e una notte soffocherete nei vostri rifiuti. Ma nel vostro perire voi splenderete, incendiati dalla forza del Dio che vi ha portato su questa terra e per qualche speciale scopo vi ha dato il dominio sulla terra e sull'uomo rosso. Questo destino è per noi un mistero, perché noi non sappiamo quando i bufali saranno tutti massacrati, i cavalli dominati, gli angoli segreti della foresta appesantiti con l'odore di molti uomini e la vista delle colline opulenti deturpata dai cavi. Dov'è il boschetto? Sparito. Dov'è l'aquila? Sparita. La fine della vita è l'inizio della Sopravvivenza.

ACCOSTAMENTO A CURA DI MANLIO ADONE PISTOLESI

"The Bitter end" (Placebo) 

"Inno alla morte" di G. Ungaretti

Amore, mio giovine emblema,
Tornato a dorare la terra,
Diffuso entro il giorno rupestre,
E' l'ultima volta che miro
(Appie' del botro, d'irruenti
Acque sontuoso, d'antri
Funesto) la scia di luce
Che pari alla tortora lamentosa
Sull'erba svagata si turba.

Amore, salute lucente,
Mi pesano gli anni venturi.

Abbandonata la mazza fedele,
Scivolero' nell'acqua buia
Senza rimpianto.

Morte, arido fiume...

Immemore sorella, morte,
L'uguale mi farai del sogno
Baciandomi.

Avro' il tuo passo,
Andro' senza lasciare impronta.

Mi darai il cuore immobile
D'un iddio, saro' innocente,
Non avro' più pensieri ne' bonta'.

Colla mente murata,
Cogli occhi caduti in oblio,
Faro' da guida alla felicità.

ACCOSTAMENTO A CURA DI FRANCESCO DENARO


"Heal the World" (M. Jackson)

"I bambini imparano ciò che vivono" (trad. it.) di Doret's Law Nolte

I bambini imparano ciò che vivono.
Se un bambino vive nella critica impara a condannare.
Se un bambino vive nell'ostilità impara ad aggredire.
Se un bambino vive nell'ironia impara ad essere timido.
Se un bambino vive nella vergogna impara a sentirsi colpevole.
Se un bambino vive nella tolleranza impara ad essere paziente.
Se un bambino vive nell'incoraggiamento impara ad avere fiducia.
Se un bambino vive nella lealtà impara la giustizia.
Se un bambino vive nella disponibilità impara ad avere una fede.
Se un bambino vive nell'approvazione impara ad accettarsi.
Se un bambino vive nell'accettazione e nell'amicizia impara a trovare l'amore nel mondo.

ACCOSTAMENTO A CURA DI FRANCESCO DENARO
"Via del Campo" e "Città Vecchia" (F. De Andrè)

"Città Vecchia" di U. Saba

Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un'oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.
Qui tra la gente che viene che va
dall'osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io ritrovo, passando, l'infinito
nell'umiltà.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d'amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore:
s'agita in esse, come in me, il Signore.
Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.

ACCOSTAMENTO A CURA DI GIANMARCO IARIA

"Ana's song" (Silverchair) - live.

"[La vita fugge et non s'arresta una hora]" di F. Petrarca

La vita fugge, et non s'arresta una hora,
et la morte vien dietro a gran giornate,
et le cose presenti et le passate
mi dànno guerra, et le future anchora;

e 'l rimembrare et l'aspettar m'accora,
or quinci or quindi, sì che 'n veritate,
se non ch'ì ò di me stesso pietate,
ì sarei già di questi penser'fòra.

Tornami avanti, s'alcun dolce mai
ebbe 'l cor tristo; et poi da l'altra parte
veggio al mio navigar turbati i vènti;

veggio fortuna in porto, et stanco omai
il mio nocchier, et rotte arbore et sarte,
e i lumi bei che mirar soglio, spenti.

ACCOSTAMENTO A CURA DI NATALE ZAPPALA'


"La Canzone dell'amore perduto" (Fabrizio De André)

"In un momento" (Dino Campana)

In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose
P.S. E così dimenticammo le rose.

ACCOSTAMENTO A CURA DI NATALE ZAPPALA'


"Smells like teen spirit" (Nirvana)

"Trionfo di Bacco e Arianna" (Lorenzo De' Medici)

Quant'è bella giovinezza
che si fugge tuttavia!
Chi vuol essere lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Quest'è Bacco e Arianna,
belli, e l'un dell'altro ardenti:
perché 'l tempo fugge e inganna,
sempre insieme stan contenti.
Queste ninfe ed altre genti
sono allegre tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Questi lieti satiretti,
delle ninfe innamorati,
per caverne e per boschetti
han lor posto cento agguati;
or da Bacco riscaldati,
ballon, salton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Queste ninfe anche hanno caro
da lor esser ingannate:
ora insieme mescolate
suonon, canton tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Questa soma, che vien drieto
sopra l'asino, è Sileno:
così vecchio è ebbro e lieto,
già di carne e d'anni pieno;
se non può star ritto, almeno
ride e gode tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Mida vien drieto a costoro:
ciò che tocca, oro diventa.
E che giova aver tesoro,
s'altri poi non si accontenta?
Chi vuol esser lieto, sia:
del doman non c'è certezza.

Ciascun apra ben gli orecchi,
di doman nessun si paschi;
oggi sian, giovani e vecchi,
lieti ognun, femmine e maschi;
ogni tristo pensier caschi:
facciam festa tuttavia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

Donne e giovinetti amanti,
viva Bacco e viva Amore!
Ciascun suoni, balli e canti!
Arda di dolcezza il core!
Non fatica, non dolore!
Ciò c'ha esser, convien sia.
Chi vuol esser lieto, sia:
di doman non c'è certezza.

ACCOSTAMENTO A CURA DELLO STAFF DI AGOGHE'


"Impressioni di Settembre" (Premiata Forneria Marconi)

"L'infinito" (Giacomo Leopardi)
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
De l'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminato
Spazio di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e 'l suon di lei. Così tra questa
Infinità s'annega il pensier mio:
E 'l naufragar m'è dolce in questo mare.

ACCOSTAMENTO A CURA DELLO STAFF DI AGOGHE'


"Losing my religion" (R.E.M.)

"A Cristo, nostro signore" (Tommaso Campanella)

I tuo' seguaci, a chi ti crocifisse più che a te crocifisso, simiglianti, son oggi, o buon Giesù, del tutto erranti da' costumi, che 'l tuo senno prescrisse. Lussurie, ingiurie, tradimenti e risse van procacciando i più stimati santi;
tormenti inusitati, orrori e pianti (tante piaghe non ha l'Apocalisse), armi contra tuoi mal cogniti amici, come son io. Tu il sai, se vedi il cuore: mia vita e passion son pur tuo segno. Se torni in terra, armato vien', Signore, ch'altre croci apparécchianti i nemici, non Turchi, non Giudei: que' del tuo regno.

ACCOSTAMENTO A CURA DI NATALE ZAPPALA'

"Epitaph" (King Crisom)

"Spleen" (Charles Baudelaire)
Quando, come un coperchio, il cielo pesa greve
Sull'anima gemente in preda a lunghi affanni,
E in un unico cerchio stringendo l'orizzonte
Riversa un giorno nero più triste dell notti;

Quando la terra cambia in un'umida cella,
Entro cui la Speranza va, come un pipistrello,
Sbattendo la sua timida ala contro i muri
E picchiando la testa sul fradicio soffitto;

Quando la pioggia stende le sue immense strisce
Imitando le sbarre di una vasta prigione,
E, muto e ripugnante, un popolo di ragni
Tende le proprie reti dentro i nostri cervelli;

Delle campane a un tratto esplodono con furia
Lanciando verso il cielo un urlo spaventoso,
Che fa pensare a spiriti erranti e senza patria
Che si mettano a gemere in maniera ostinata.

- E lunghi funerali, senza tamburi o musica,
Sfilano lentamente nel cuore; la Speranza,
Vinta, piange, e l'Angoscia, dispotica ed atroce,
Infilza sul mio cranio la sua bandiera nera.

ACCOSTAMENTO A CURA DI NATALE ZAPPALA'

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