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venerdì 13 maggio 2011

Bagnarese: la vittoria di un'idea


di Natale Zappalà
(foto di Vincenzo Laurendi)

I ragazzi non troppo giovani riescono ancora a ricordare quei tempi in cui, a Bagnara, trascorrere la domenica pomeriggio al campo sportivo rappresentava la consuetudine e non l'occasione. La pay-tv appariva ancora come un costoso lusso agli esordi, e l'unico modo per conoscere i risultati della Serie A era quello di affidarsi alla voce roca di Sandro Ciotti sulle frequenze radiofoniche di "Tutto il Calcio minuto per minuto".
Sembra il ritratto di un'epoca remota, ma in realtà si sta raccontando di diciotto/venti anni fa. La Bagnarese e le gesta dei Musumeci, di Cotroneo, di Morello o Lombardo costituivano spesso il primo approccio di noi bimbi all'affascinante realismo di un calcio giocato costellato da polveroni di sabbia dispersi nell'aria a ogni contrasto, divise invernali indossate per una stagione intera e poi lanciate in tribuna alla fine dell'ultimo turno casalingo, la gassosa all'intervallo da compare Ceo. Il Comunale sempre pieno esplodeva di gioia quando i biancazzurri segnavano il goal decisivo tra il tripudio di mille voci deliranti per quella rete metallica che finalmente si gonfiava davanti ai loro occhi.
Oggigiorno è tutto cambiato: il grande calcio dei diritti televisivi e dell'alta definizione ha indubbiamente sottratto interesse e magia a quello dilettantistico fatto di lacrime e sudore versati sul campo irregolare di periferia. Fino all'anno scorso il Comunale era solo un pallido ricordo di ciò che fu. La Bagnarese? Meglio osservare comodamente seduti in poltrona l'occhio indiscreto del cameraman che immortala le imprecazioni dell'allenatore multimilionario già accordatosi – con tanto di inevitabile aumento a dismisura dell'ingaggio – con un'altra squadra per la stagione successiva. Meglio rivedere tutti i goal in qualsiasi istante, semplicemente premendo il tasto verde del telecomando.
Il giro d'affari delle serie minori si è drasticamente ridotto di conseguenza. Molte piccole società sono scomparse perché nessun privato intende più investire a fondo perduto per regolarizzare l'iscrizione in Promozione o in Eccellenza. È la dura legge del divenire economico: il calcio dilettantistico sembrava aver perso la sua scommessa con la Storia.
Sono bastati l'entusiasmo, il coraggio e la lungimiranza di una dirigenza giovane per escogitare la formula innovativa del successo. Niente più compensi o premi-partita: si gioca per puro divertimento, onorando la maglia con il cuore. I ragazzi di Enzo Musumeci hanno rivelato a tutti noi il segreto per rievocare quei perduti pomeriggi di un'altra era, quando il Comunale si tramutava nel Teatro dei Sogni e le folle osannavano quegli undici, piccoli, eroi che inseguivano la sfera.
Questo scenario ha dominato tutta la scorsa stagione calcistica a Bagnara; e tutto il territorio reggino parlava degli autobus carichi di tifosi in trasferta, di bandiere e striscioni, di giovani talenti e vecchie glorie uniti per raggiungere l'agognato traguardo della salvezza.
Abbiamo fallito i play-out, ma chissenefrega: una sconfitta non può bruciare quando vince l'idea. E l'idea portata avanti dalla Bagnarese sarà per forza di cose discussa, ammirata, imitata all'interno del circuito provinciale sportivo negli anni che verranno.
Il calcio dilettantistico per sopravvivere ha bisogno di questo: dedizione, sacrificio, passione, senza sprechi di risorse. Quando tutte le altre squadre seguiranno tale modello, nulla potrà togliere alla Bagnarese il vanto di averne forgiato la tradizione.

mercoledì 11 maggio 2011

Il trionfo delle bufale apocalittiche

di Natale Zappalà
Dedicato a tutti i boccaloni
che hanno creduto alla profezia
del sisma romano addì 11/5/2011

Da Costaviolaonline.it 11/11/2009:

Le ansie millenaristiche – ossia i timori di una prossima fine del mondo, spesso elaborati in forma di profezia – hanno spesso condizionato, nel corso della Storia, gli iperterriti creduloni. Molti pretesero di individuare in Silvestro II – al secolo Gerberto di Aurillac (950-1003 circa), il papa dell'anno Mille – l'Anticristo descritto dall'Apocalisse (pseudo) giovannea, solo perché si trattava di un uomo dottissimo e integerrimo – era un profondo conoscitore della cultura greca e di quella araba –, vissuto in un'epoca caratterizzata dalla frequente inadeguatezza dei pontefici, per lo più ignoranti e pervertiti da competizione (molti di essi conducevano vite dissolute, con figli e concubine al seguito che talvolta si ingerivano negli affari dello Stato della Chiesa, come l'ex prostituta Marozia, amante di Sergio III e madre di papa Giovanni XI).
Il mondo continuava tuttavia ad esistere, in barba al moltiplicarsi di profezie e vaticinii vari, sia dopo l'anno Mille, sia allo scoccare di ulteriori date, ogni volta additate come le tappe finali del destino dell'umanità: il 1300, il 1500, il Concilio di Trento, la Rivoluzione Francese e il 1999. Periodicamente, nelle città comparivano folte processioni di «flagellanti», uomini e donne penitenti che si infliggevano ogni sorta di auto-tortura al fine di espiare i propri peccati nell'attesa della prossima fine del mondo.
Le banche-dati da cui attingere o adattare vecchie e nuove profezie erano, di norma, il libro di Daniele, quello di Isaia e – soprattutto – l'Apocalisse, il celebre testo neotestamentario prodotto da una setta ebraico-cristiana nella prima metà del II secolo d.C. e falsamente attribuito all'apostolo Giovanni. Un'opera letteraria che trova significativi termini di paragone con testi apocrifi ebraici del passato, anch'essi basati sulla descrizione personale e visionaria di una paventata fine dei tempi a breve termine.
L'ampliamento delle conoscenze culturali coincise con la divulgazione delle teorie di nuovi e sedicenti "profeti" come Malachia, Gioacchino da Fiore, Mamma Shipton o il celeberrimo Nostradamus. Si tratta di autori a dir poco inattendibili, che godono tuttora di grande popolarità presso i posteri, grazie soprattutto all'infaticabile opera di divulgazione dei soliti scrittori ciarlatani, pronti a strumentalizzare per fini editoriali l'avida sete di misteri e verità occulte propria di una sempre più ampia fascia di pubblico; lo stesso pubblico che ha finanziato l'arricchimento di un romanziere sostanzialmente mediocre come Dan Brown.
Il trucco consisteva spesso nel comporre – è il caso delle quartine di Nostradamus – dei versi astrusi, al limite dell'incomprensibile, colmi di sventure e avvenimenti infausti in grado di sconvolgere la mente di un uomo del '500 (scismi religiosi, morti di papi e imperatori, pestilenze e invasioni turche). Ogni lettore, specie se disinformato in merito alla fisionoma storica di Nostradamus, leggendo questi versi, sulla base della propria estrazione culturale, sociale, geografica, può sostanzialmente ricavare ciò che vuole.
A riprova di ciò, ecco che persino il sottoscritto riesce a ricavare una profezia post-eventum interpretando una quartina di Nostradamus (Centurie, VI, 97): nella fattispecie, preconizzerò il celebre e sanguinoso attacco terroristico al Word Trade Center dell'11 settembre 2001:

Cinque e quaranta gradi il cielo brucierà
il fuoco si avvicinerà alla grande città nuova,
in un istante la larga fiamma farà un balzo
quando si vorrà far prova dei Normanni.

La città nuova (New York) si trova fra il 40° e il 45° parallelo; l'attacco avviene, in un istante, dal cielo che brucerà (i velivoli dirottati dai terroristi colpirono all'improvviso i due grattacieli). Quanto all'ultima frase – quando si vorrà far prova dei Normanni – posso benissimo arrampicarmi sugli specchi, spiegando il riferimento astruso agli Uomini del Nord nel senso di un mezzo di pressione psicologica (quando si vorrà far prova), volto ad impaurire con l'arma del terrorismo la società capitalistica nord-occidentale. Su illazioni come questa si fondano effettivamente le fortune editoriali dei moderni interpreti dell'astronomo francese.
Oggi, il pubblico è alla mercé della "profezia dei Maya", che prevede una "data di scadenza", per il nostro pianeta, fissata al 21/12/2012, sulla base dei calcoli astronomici effettuati dall'antico popolo americano. Se solo si prestasse attenzione agli studiosi di mestiere – e non ai buontemponi in cerca di successo mediatico e materiale, avvalorati dalle attenzioni che gli rivolgono programmi televisivi mediocri e speculatori hollywoodiani– si comprenderebbe immediatamente la colossale bufala di cui si tratta.
I Maya utilizzarono infatti diversi tipi di calendario; quello in questione, il Lungo Computo, si basava su una concezione ciclica del tempo, laddove la fine dell'ultima era coincide col 21/12/2012. Una data che rappresenta nient'altro che la fine di un ciclo e l'inizio di quello successivo. Non c'è alcuna profezia: si tratta di un banale calcolo cronologico. Per il resto – gli allineamenti planetari, le comete o le collisioni fra corpi celesti dai nomi esotici (Nibiru) che si leggono su Internet – basta recarsi presso un comune osservatorio spaziale per rendersi conto dell'assoluta infondatezza delle suddette teorie.
Insomma, il mondo, probabilmente, non finirà nel 2012, così come non è finito nel 1000 o nel 1300. L'unico modo per prevenire le REALI catastrofi verificabili, è quello di iniziare ad avere più rispetto nei confronti dell'ambiente in cui viviamo, adottando una visione ecologicamente sostenibile del rapporto fra progresso e pianeta; anche perché, credere in queste balordaggini, è una grave offesa alla presunta superiorità intellettuale degli umani sugli altri esseri viventi e nei confronti della natura che lo circonda.

lunedì 2 maggio 2011

Drogato di Curiosità

di Pasqualino Placanica
Ho frequentato la scuola elementare dalle suore, in un istituto privato, non tanto per questioni religiose, quanto per il fatto che. essendo nato il 5 gennaio, iscrivendomi alle scuole comunali avrei perso un anno; le scuole comunali non accettavano in prima elementare coloro i quali alla data del 31 dicembre non avevano ancora compiuto i sei anni, mentre gli istituti privati erano esentati da questa regola e, visto che si facevano pagare profumatamente, non si sognavano nemmeno di applicarla d’iniziativa, anzi ne sfruttavano i vantaggi. A quei tempi (era il 1967/68 quando frequentai la prima elementare) le parole notebook, internet, wi-fi, smartphone, non esistevano; i concetti che esprimono adesso, elaborati in modo fantasioso, aleggiavano in qualche modo in telefilm di fantascienza come “Spazio 1999” o film come “2001 Odissea nello spazio”, ed io sognavo che da grande avrei potuto magari visitare mondi nuovi (come se già conoscessi il mio!). Ricordo che passavo ore ed ore, di notte, a guardare il cielo pensando a cosa ci fosse di sconosciuto in quella miriade di puntini luminosi; oppure guardavo le cartine geografiche dell’Atlante immaginando di scoprire, dalla conformazione dei confini dei continenti, dove potesse trovarsi il leggendario regno di Atlantide, sommerso da un cataclisma; ho notato da solo, a dieci anni di età, senza alcuna indicazione che i contorni dell’America del sud e quelli dell’Africa praticamente coincidono, ed in seguito a questa mia “scoperta” ho poi saputo, cercando informazioni sui miei amati libri, che secondo una accreditata teoria (la teoria della deriva dei continenti) una volta i due continenti erano uniti. Praticamente mi drogavo di curiosità, al punto di ritrovarmi spesso in overdose. L’overdose di curiosità, credetemi, è qualcosa di terribile ed allo stesso tempo affascinante; si nutre di se stessa e può fare raggiungere l’estasi senza alcuna conseguenza per il fisico del drogato. È terribile perché può andare avanti all’infinito (il drogato di curiosità non è mai sazio definitivamente), è affascinante perché stimola la mente alla ricerca. L’antidoto è naturalmente la conoscenza, lo studio, ma non è una soluzione definitiva. Il drogato di curiosità non guarisce mai. I mezzi per studiare, ai tempi della mia infanzia, erano solo ed esclusivamente i libri. Ed io, drogato di curiosità, i libri non li leggevo: li divoravo. In una notte ero capace di leggere un intero volume di storia o un libro di avventure. La storia è stata la mia prima passione: ho capito subito che prima di pensare a come sarà il futuro avrei dovuto conoscere com’è stato il passato. Andavo a scuola dalle suore dicevo, ma non me n’era chiaro il significato; pensavo di andare a scuola e basta, invece andavo a scuola “dalle suore”. Il primo chiarimento in merito lo ebbi in terza elementare, quando iniziai a frequentare il catechismo per prendere la Prima Comunione. Le lezioni erano tenute da una suora (suor Bianca, la ricordo come se la vedessi adesso) e si svolgevano praticamente secondo un vero e proprio manuale; la suora sapeva perfettamente cosa doveva dire durante la lezione, faceva poi domande preconfezionate agli allievi in modo tale da potere rispondere ad eventuali contro-domande sempre secondo manuale. Ma noi eravamo bambini, ed i bambini si sa, anche se a scuola dalle suore, sono spesso imprevedibili; accadde un giorno che il discorso sulla carità della Chiesa prendesse una brutta piega.....per la suora, intendo. Un mio compagno raccontò di essere andato in visita al Vaticano e di averne visto le ricchezze; concluse chiedendo com’era possibile che le chiese fossero adornate di quadri ed ori che avrebbero potuto essere usati per sfamare i popoli del terzo mondo; come poteva la Chiesa sfoggiare lussi e contemporaneamente raccogliere fondi per gli affamati? «Domanda-standard!» – pensò suor Bianca – e dal suo scafato manuale mentale tirò fuori la risposta-standard relativa: «Ma la chiesa è la casa del Signore, ed il Signore vuole che la sua casa sia bella ed accogliente, ben arredata per ricevere i suoi figli; voi non vorreste avere una casa bella ed accogliente, con bei quadri ai muri e ben arredata?» Silenzio…elaborazione della risposta ricevuta…(mumble mumble…come direi adesso) dopo qualche secondo mi alzai e dissi: «Sì, ma prima di comprare i quadri da appendere al muro io mi preoccuperei di dare da mangiare ai miei figli!». La lezione finì immediatamente per non meglio specificati motivi urgenti; il giorno dopo mio padre fu convocato dalla Madre Superiora. Non so cosa si dissero, perché a me nessuno disse niente; anzi, al momento non capii proprio nulla, e mi riproposi di ripetere la domanda alla lezione successiva. Naturalmente non ci riuscii, perché la suora fu abilissima ad impedirmelo senza traumi. Cominciai ad avere sospetti sulla limpidezza (o se vogliamo, della completezza) delle informazioni che ricevevo, tanto più che spesso quello che sentivo dire a scuola non combaciava con quello che poi leggevo a casa, sui libri che, come dicevo prima “divoravo”. Quarta elementare, tema: “Le origini dell’uomo”. Naturalmente per me il giardino dell’Eden ed Adamo ed Eva erano solo una bella storiella, e neanche mi sognai di farvi riferimento. Scrissi una specie di trattato sulla teoria di Darwin e lo consegnai convinto di avere fatto un ottimo tema da dieci, che avrebbe permesso alla mia fila di banchi di vincere la gara che si teneva ogni volta in occasione dei compiti in classe. Il giorno dopo non andai a scuola, non ricordo perché, ma ne fui molto contrariato: si sarebbero corretti i temi in classe ed io non avrei potuto ricevere i complimenti dei compagni di fila. Al mio ritorno in classe, notai una certa ostilità negli sguardi dei miei compagni mentre mio padre si intrattenne a discutere animatamente con la suora, potete immaginare perché. Poi mi fu consegnato il quaderno dei temi ed io, che non avevo ancora capito un tubo, lo aprii con avidità convinto di trovarvi un bel voto e magari anche un commento di lode. Il tema era stato sbarrato interamente da una bella “X” in rosso per tutte le quattro pagine, ed in calce troneggiava un “3 meno meno” che praticamente stroncava le speranze della mia fila di vincere la gara dei compiti in classe. Stavolta però, mi fu spiegato qual era il problema; mi fu spiegato, ed io capii. Capii ma non approvai; da quel momento non aspettai altro che completare il ciclo elementare per potere andare via da un ambiente che mi era ostile. Anzi, ricordo che pensai che era ostile alla mia mente, alla mia ragione. Io, che ero costantemente in overdose di curiosità, non potevo, secondo quelli che erano stati delegati alla mia educazione, attingere allo scibile umano ed elaborare i dati per ottenerne un’opinione che fosse mia. Impossibile da accettare, per me. Continuai a leggere libri avidamente e lo faccio tutt’ora, con i limiti che mi impone l’uso degli occhiali derivante dall’età. Da quel periodo della mia vita, fondamentale per la mia formazione mentale, ho ricavato una massima che continuo ad applicare, e che cerco di trasmettere senza pretesa di accettazione a scatola chiusa (sarebbe in contrasto con la stessa massima) agli esponenti delle nuove generazioni con cui ho contatti: “se Dio mi ha dotato di un cervello, evidentemente vuole che lo usi”.