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lunedì 2 maggio 2011

Drogato di Curiosità

di Pasqualino Placanica
Ho frequentato la scuola elementare dalle suore, in un istituto privato, non tanto per questioni religiose, quanto per il fatto che. essendo nato il 5 gennaio, iscrivendomi alle scuole comunali avrei perso un anno; le scuole comunali non accettavano in prima elementare coloro i quali alla data del 31 dicembre non avevano ancora compiuto i sei anni, mentre gli istituti privati erano esentati da questa regola e, visto che si facevano pagare profumatamente, non si sognavano nemmeno di applicarla d’iniziativa, anzi ne sfruttavano i vantaggi. A quei tempi (era il 1967/68 quando frequentai la prima elementare) le parole notebook, internet, wi-fi, smartphone, non esistevano; i concetti che esprimono adesso, elaborati in modo fantasioso, aleggiavano in qualche modo in telefilm di fantascienza come “Spazio 1999” o film come “2001 Odissea nello spazio”, ed io sognavo che da grande avrei potuto magari visitare mondi nuovi (come se già conoscessi il mio!). Ricordo che passavo ore ed ore, di notte, a guardare il cielo pensando a cosa ci fosse di sconosciuto in quella miriade di puntini luminosi; oppure guardavo le cartine geografiche dell’Atlante immaginando di scoprire, dalla conformazione dei confini dei continenti, dove potesse trovarsi il leggendario regno di Atlantide, sommerso da un cataclisma; ho notato da solo, a dieci anni di età, senza alcuna indicazione che i contorni dell’America del sud e quelli dell’Africa praticamente coincidono, ed in seguito a questa mia “scoperta” ho poi saputo, cercando informazioni sui miei amati libri, che secondo una accreditata teoria (la teoria della deriva dei continenti) una volta i due continenti erano uniti. Praticamente mi drogavo di curiosità, al punto di ritrovarmi spesso in overdose. L’overdose di curiosità, credetemi, è qualcosa di terribile ed allo stesso tempo affascinante; si nutre di se stessa e può fare raggiungere l’estasi senza alcuna conseguenza per il fisico del drogato. È terribile perché può andare avanti all’infinito (il drogato di curiosità non è mai sazio definitivamente), è affascinante perché stimola la mente alla ricerca. L’antidoto è naturalmente la conoscenza, lo studio, ma non è una soluzione definitiva. Il drogato di curiosità non guarisce mai. I mezzi per studiare, ai tempi della mia infanzia, erano solo ed esclusivamente i libri. Ed io, drogato di curiosità, i libri non li leggevo: li divoravo. In una notte ero capace di leggere un intero volume di storia o un libro di avventure. La storia è stata la mia prima passione: ho capito subito che prima di pensare a come sarà il futuro avrei dovuto conoscere com’è stato il passato. Andavo a scuola dalle suore dicevo, ma non me n’era chiaro il significato; pensavo di andare a scuola e basta, invece andavo a scuola “dalle suore”. Il primo chiarimento in merito lo ebbi in terza elementare, quando iniziai a frequentare il catechismo per prendere la Prima Comunione. Le lezioni erano tenute da una suora (suor Bianca, la ricordo come se la vedessi adesso) e si svolgevano praticamente secondo un vero e proprio manuale; la suora sapeva perfettamente cosa doveva dire durante la lezione, faceva poi domande preconfezionate agli allievi in modo tale da potere rispondere ad eventuali contro-domande sempre secondo manuale. Ma noi eravamo bambini, ed i bambini si sa, anche se a scuola dalle suore, sono spesso imprevedibili; accadde un giorno che il discorso sulla carità della Chiesa prendesse una brutta piega.....per la suora, intendo. Un mio compagno raccontò di essere andato in visita al Vaticano e di averne visto le ricchezze; concluse chiedendo com’era possibile che le chiese fossero adornate di quadri ed ori che avrebbero potuto essere usati per sfamare i popoli del terzo mondo; come poteva la Chiesa sfoggiare lussi e contemporaneamente raccogliere fondi per gli affamati? «Domanda-standard!» – pensò suor Bianca – e dal suo scafato manuale mentale tirò fuori la risposta-standard relativa: «Ma la chiesa è la casa del Signore, ed il Signore vuole che la sua casa sia bella ed accogliente, ben arredata per ricevere i suoi figli; voi non vorreste avere una casa bella ed accogliente, con bei quadri ai muri e ben arredata?» Silenzio…elaborazione della risposta ricevuta…(mumble mumble…come direi adesso) dopo qualche secondo mi alzai e dissi: «Sì, ma prima di comprare i quadri da appendere al muro io mi preoccuperei di dare da mangiare ai miei figli!». La lezione finì immediatamente per non meglio specificati motivi urgenti; il giorno dopo mio padre fu convocato dalla Madre Superiora. Non so cosa si dissero, perché a me nessuno disse niente; anzi, al momento non capii proprio nulla, e mi riproposi di ripetere la domanda alla lezione successiva. Naturalmente non ci riuscii, perché la suora fu abilissima ad impedirmelo senza traumi. Cominciai ad avere sospetti sulla limpidezza (o se vogliamo, della completezza) delle informazioni che ricevevo, tanto più che spesso quello che sentivo dire a scuola non combaciava con quello che poi leggevo a casa, sui libri che, come dicevo prima “divoravo”. Quarta elementare, tema: “Le origini dell’uomo”. Naturalmente per me il giardino dell’Eden ed Adamo ed Eva erano solo una bella storiella, e neanche mi sognai di farvi riferimento. Scrissi una specie di trattato sulla teoria di Darwin e lo consegnai convinto di avere fatto un ottimo tema da dieci, che avrebbe permesso alla mia fila di banchi di vincere la gara che si teneva ogni volta in occasione dei compiti in classe. Il giorno dopo non andai a scuola, non ricordo perché, ma ne fui molto contrariato: si sarebbero corretti i temi in classe ed io non avrei potuto ricevere i complimenti dei compagni di fila. Al mio ritorno in classe, notai una certa ostilità negli sguardi dei miei compagni mentre mio padre si intrattenne a discutere animatamente con la suora, potete immaginare perché. Poi mi fu consegnato il quaderno dei temi ed io, che non avevo ancora capito un tubo, lo aprii con avidità convinto di trovarvi un bel voto e magari anche un commento di lode. Il tema era stato sbarrato interamente da una bella “X” in rosso per tutte le quattro pagine, ed in calce troneggiava un “3 meno meno” che praticamente stroncava le speranze della mia fila di vincere la gara dei compiti in classe. Stavolta però, mi fu spiegato qual era il problema; mi fu spiegato, ed io capii. Capii ma non approvai; da quel momento non aspettai altro che completare il ciclo elementare per potere andare via da un ambiente che mi era ostile. Anzi, ricordo che pensai che era ostile alla mia mente, alla mia ragione. Io, che ero costantemente in overdose di curiosità, non potevo, secondo quelli che erano stati delegati alla mia educazione, attingere allo scibile umano ed elaborare i dati per ottenerne un’opinione che fosse mia. Impossibile da accettare, per me. Continuai a leggere libri avidamente e lo faccio tutt’ora, con i limiti che mi impone l’uso degli occhiali derivante dall’età. Da quel periodo della mia vita, fondamentale per la mia formazione mentale, ho ricavato una massima che continuo ad applicare, e che cerco di trasmettere senza pretesa di accettazione a scatola chiusa (sarebbe in contrasto con la stessa massima) agli esponenti delle nuove generazioni con cui ho contatti: “se Dio mi ha dotato di un cervello, evidentemente vuole che lo usi”.

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