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venerdì 11 ottobre 2013

"Lampedusa"

di Fulvio Cama



Lampedusa


Veni di sud e spera d’ arrivari,
Nda ddhu giardinu ammenzu di lu mari,
Ma havi a passari un mari senza Diu,
Nda chiddhu mari puru Diu muriu!


Cu l’occhi niri culuri ill’abissi,
Fimmina beddha prega e dici missi,
Purtandu ‘n grembu lu so criaturi,
Brazza cunserti mi nci fa caluri.


Fami e stanchizza pi la traversata,
Ciangi la mamma è tristi e dispirata,
Ma quandu c’oramai è disillusa,
Ci appari la costa di Lampedusa.


Nci veni forza e nu sorrisu nesci,
Di ddhu sorrisu u figgiu soi si pasci,
La costa si fa sempri chiù vicina,
Si senti sciauru i terra marina.


Ma chiddhu è mari aundi Diu muriu,
E lu barcuni an botta si firmau,
Passa n’istanti e pi fari signali,
Mpiccica focu e l’attimu è fatali!


Brucia la barca e affunda tra li flutti,
Avidu mostru subitu sa ‘nghiutti,
Non lassa scampu non duna riparu,
Assassinu e di viti umani avaru.


Mamma scindi a lu fundu senza scampu,
Ma prima di la morti ultimu lampu,
Cu l’acqua chi lu pettu nci rinchiu,
Lu so figghiolu u stessu u parturiu.


Ma fatu assai crudeli e assai spietatu,
Mmazza la mamma cu figgiu attaccatu,
Chi si curduni spezza nda ddhu mari,
Figghiu chi nnata iddhu u sapi fari!


Di chiddha scena ‘nfami ed impietusa,
Chi la natura tutta la ricusa,
Puru li pisci cani fa ciangiri,
E nda ddhu locu non vonnu mangiari.


Puru l’ultimu diavulu s’indigna,
Comu si poti dari sta cundanna?
E a chiddhi chi rifiutanu sta genti:
iddhi i me frati, e vui non siti nenti!”


(Traduzione italiana)

Viene dal Sud e spera di arrivare
In quel giardino in mezzo al mare
Ma deve attraversare un mare senza Dio
In quel mare anche Dio è morto!


Con gli occhi neri color degli abissi
La bella donna prega e dice messe
Portando in grembo la sua creatura
Con le braccia conserte per fargli calore.


Fame e stanchezza per la traversata
Piange la mamma è triste e disperata
Ma quando ormai è disillusa
Appare la costa di Lampedusa.


Gli viene forza ed un sorriso le esce
Di quel sorriso il suo figlio si nutre
La costa si fa sempre più vicina
Si sente l’odore della terra marina.


Ma quello è mare dove Dio è morto
Ed il barcone di colpo si ferma
Passa un istante e per fare un segnale
Appicca il fuoco e l’attimo è fatale!


Brucia la barca e affonda tra i flutti
Un avido mostro subito la inghiotte
Non lascia scampo, non da riparo
Assassino e avaro di vite umane.


La mamma scende a fondo senza scampo
Ma prima di morire un ultimo lampo
Con l’acqua che il petto le ha già riempito
Il suo figliolo lo stesso ha partorito


Ma il fato assai crudele e assai spietato
Ammazza la mamma col figlio attaccato
Che se si fosse spezzato il cordone nel mare
Il figlio può nuotare perché lo sa fare


Di quella scena infame ed impietosa
Che tutta la natura ricusa
Anche i pesci cane fa piangere
Ed in quel luogo non vogliono mangiare


Anche l’ultimo diavolo s’indigna
Come si può dare questa condanna?
E a quelli che rifiutano questa gente:

“Loro sono miei fratelli e voi siete niente!”

giovedì 14 febbraio 2013

Il Grand Tour nella Calabria greca

di Franco Tuscano











Libri e scritture di viaggio (la cosiddetta “letteratura odepòrica”, ovvero, “attinente al viaggio”), si intensificano grazie alla pratica del “ GRAN TOUR”, attraverso cui, a partire dalla fine del ‘600-inizio ‘700, i rampolli europei di buona famiglia completano gli studi “puntellando” il proprio background culturale. Fin dal principio, si evince che tra le mete preferite dai viaggiatori c’è il “Belpaese”: l’Italia, tappa obbligata in seguito alla rinnovata cultura umanistica, in quanto, tra il XV e il XVI sec., la nostra penisola è “la grande officina di una rivoluzione artistica di assoluto rilievo internazionale”.
La Calabria, quella ionica in particolare, è rimasta però sempre ai margini degli itinerari di viaggio che interessano invece, seppur parzialmente, la costa tirrenica fino a Reggio, meta ultima del traghettamento verso la Sicilia. L’Aspromonte estremo poi, “ in finibus Calabriae”, -frontiera culturale, perché, roccaforte greca in terra latina, ma soprattutto “cerniera”, “anello di congiunzione” fra Oriente e Occidente- appare un’isola remota e immobile, “nel tempo ma fuori dal tempo”( T.S. Eliot), fuori dalla storia, separata non solo fisicamente ma anche culturalmente dal resto dello “stivale”; una terra rimasta “off limits” a gran parte dei viaggiatori (lo stesso Goethe “salta” la Calabria) e colpevolmente ignorata, quando non –addirittura- mistificata dalla storiografia.
Oltre che terra irraggiungibile, essa non gode di una buona reputazione, in quanto, gravata dal forte pregiudizio relativo alle sue “proverbiali insidie”, rappresentate soprattutto dalla presunta pericolosità dei suoi abitanti, descritti come briganti, ladri e assassini.( A tal proposito, è curioso far notare che, il grandissimo Rohlfs,- il quale amava l’Italia e adorava la Calabria, di cui arrivò a visitare 365 località…- avesse confessato che l’unico furto subìto in Italia, in più di 60 anni di continue visite, si fosse verificato a Roma e, per di più, ad opera di un suo connazionale…). Intraprendere un viaggio in Calabria,- parentesi a parte - diventa perciò una sorta di “avventura al buio” che pochi sono disposti ad affrontare, anche se, è bene precisarlo, le considerazioni iniziali vengono spesso riviste e quasi sempre ribaltate ed i pregiudizi cancellati dal contatto diretto con la gente di Calabria, che ha sempre manifestato, nei confronti di qualsiasi visitatore, la sacralità del valore dell’ospitalità, che affonda le sue radici nella antica “xenìa” di matrice greca. Quindi, le (presunte) insidie “naufragano” sistematicamente ed ineluttabilmente di fronte ai sentimenti ed ai comportamenti xenòfili, profondamente “scolpiti” nel cuore e nella mente del popolo calabrese.
Nonostante i pregiudizi di cui sopra, dopo il Barrio (fine ‘500) e il Pacichelli (inizio ‘700), la Calabria, fra la metà del ‘700 e il ‘900, è meta prescelta di viaggiatori provenienti da varie parti d’Europa( per citarne alcuni:Dierkens, Vivant-Denon, Saint-Non, Swinburne, Witte, Strutt, Keppel-Craven, Lear, Douglas, Tuzet, Destreèe, ecc.).
Le pagine di questi scrittori, che per lo più percorrono i loro itinerari a piedi ( Douglas a cavallo, Tuzet in auto-siamo nel primo ‘900-), sono memorie che prendono forma di giornali di viaggio, di approfondite inchieste sociali, di suggestive note antropologiche, che proiettano la Calabria in generale e l’Aspromonte estremo in particolare, in una dimensione quasi eterea, una terra insidiosa ma bellissima e seducente, che si svela- come mirabilmente sottolinea Edward Lear- con due “facies”: infernale e paradisiaca.
E’ lo stesso viaggiatore inglese che, durante il suo “tour” a piedi nella provincia di Reggio Calabria(1847), nota ed annota nel suo taccuino di viaggio, le forti contraddizioni di una terra dal fascino indiscutibile, in cui tutto si compenetra: leggenda e storia, mare e montagna, mitologia misticismo, oriente e occidente, latinità e grecità. Lo scrittore e paesaggista, divenuto celebre per il suo rimare “nonsense” ed a cui è “intitolato” il famoso e suggestivo “sentiero dell’inglese” nello hinterland dell’Area Grecanica, non omette di segnalare che, ovunque, sebbene si vivesse una fase difficile dal punto di vista economico-sociale-politico, le persone da lui visitate non avevano assolutamente smarrito il loro radicatissimo, “religiosissimo” senso dell’ospitalità.
La Calabria è, quindi, una terra “dall’anima greca”, se è vero come è vero che, (anche) i tanti viaggiatori stranieri ne hanno evocato e decantato - oltre che le bellezze naturalistiche e paesaggistiche- soprattutto le “bellezze dello spirito” della gente di Calabria, forgiato e plasmato-senza soluzione di continuità- attraverso millenni di storia e del quale(spirito), l’inalterabile sacralità della “filoxenìa”, di omerica memoria, ne è fedele, esemplare, straordinaria interprete…