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giovedì 20 gennaio 2011

La valigia di cartone

di Natale Zappalà


Si racconta che quando gli invasori Normanni entrarono per la prima volta a Reggio, nel 1059/60, rimasero stupefatti dalla bellezza della città, nonché dalla ricchezza e dalla cultura dei suoi abitanti. Così come, decine di secoli prima, erano rimasti di sasso i Romani.
La Pianura Padana si presentava ancora come una fossa acquitrinosa e malarica – il cuore della Lombardia, nel Medioevo, veniva denominato emblematicamente “Lago Gerundo” – e certamente nessun uomo del Sud, già convinto della sfericità della Terra (lì si leggevano i Pitagorici e si copiavano i classici della letteratura greca) o di quale fosse il corretto approccio alla politica, sognava minimamente di doversi recare a Medheland (“la terra del mezzo”) per sopravvivere.
I tempi sono cambiati ed oggi i nostri sguardi tristi e perplessi di posteri hanno visto migliaia, forse milioni, di valigie cartonate sciuparsi sopra i portapacchi malfermi di un treno che puntava solo al Nord. Un esodo di vite, braccia e pensieri che neppure il Terzo Millennio è riuscito ad arginare.
Ogni parente, ogni amico, ogni conoscente che parte fa bruciare l'animo di chi resta. Ci si sente come il verde pioppo che in autunno assiste impassibile alla perdita delle proprie foglie: non può impedire che esse si stacchino dai rami, né che si disperdano lontano dalle radici.
Ogni giorno questa terra smarrisce molti dei suoi figli. Eppure spesso essi hanno studiato, hanno imparato un mestiere, hanno voglia e bisogno di lavorare. Ma la realtà non cambia.
Di chi è la colpa? Intorno si sentono spesso pontificare i rappresentanti eletti di coloro che restano. Ma sono sempre e soltanto chiacchiere e le chiacchiere hanno le ali, quando qui non serve volare, serve sopravvivere. Ci siamo piegati a tutto pur di sussistere: alle favole dei politicanti, alle raccomandazioni, all'etica protestante della produttività ad ogni costo, al malcostume e alla criminalità di pensiero e di azione.
Neanche tutto ciò è bastato. Forse è per questo che questa fottuta uggia nel cuore non ci abbandona, anche se siamo ormai giunti al binario cruciale della nostra vita. Potevamo fare di più per far sentire la nostra voce in patria. Ci è rimasto appena il coraggio per andare via. Chi ci governa dovrebbe sapere che ogni mente che abbandona questa latitudine di lacrime e vane speranza costituisce un altro passo verso il baratro del fallimento globale.
Buona fortuna amico mio! All'inferno saremo in buona compagnia.

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