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lunedì 19 settembre 2011

La Relatività della condizione umana


di Stefania Guglielmo
Il concetto di mondo, inteso come realtà, è generalmente un concetto noto a tutti in maniera piuttosto unitaria. Se però ci si sposta dal campo del generale a quello del particolare dunque, da un ambito più astratto ad uno maggiormente concreto –, ciò che ognuno riconosce come mondo, come realtà, risulta essere un concetto soggettivo, unico, e che non trova un corrispettivo completamente soddisfacente nel pensiero di nessun altro individuo. Il mondo e la realtà sono infatti individuali e, nel più intimo pensiero del singolo, vengono rappresentati dall’insieme delle esperienze vissute e, conseguentemente, dai luoghi, dalle persone e dalle circostanze con cui o in cui ci si è ritrovati a vivere e da cui derivano, inevitabilmente, i lineamenti fondamentali della propria personalità.
Per tale ragione, l’uomo vive nel mondo e nella realtà con una consapevolezza direttamente proporzionale alla qualità delle proprie esperienze. Sarebbe opportuno, tuttavia, precisare che la qualità delle esperienze vissute così come, più in generale, il livello del progresso scientifico raggiunto dalla società in cui si vive può accrescere la consapevolezza che l’individuo ha del reale, ma non le sue possibilità di conoscere oggettivamente il mondo e la realtà.
L’individualità e l’unicità di ogni singola esistenza si pongono come le caratteristiche principali della vita, principali e necessarie per il rispetto della più profonda essenza umana, ma, contemporaneamente, si dimostrano i limiti più grandi dell’uomo. L’individuo, infatti, strettamente ed inguaribilmente legato alla propria realtà individuale, non potrà mai prescinderne per giungere ad una conoscenza generale del mondo nella sua interezza, a meno che non riesca a trovarsi fuori da se stesso e da tutta la realtà circostante.
Da ciò si deduce che ogni uomo, possedendo la propria realtà individuale, condurrà un’indagine altrettanto individuale del mondo che conosce, nel corso della quale assumerà una centralità che, oggettivamente, nell’ambito della verità della realtà generale che eternamente sfugge, non gli appartiene.
L’individuo che giunge all’acquisizione di tale consapevolezza è un soggetto, di questi tempi, pericoloso. Il riconoscimento della relatività della posizione dell’uomo nei confronti della realtà oggettiva conduce, del resto, all’assunzione di una seconda consapevolezza: si giunge a comprendere che l’individuo è in sé propenso a sottostare esclusivamente alle verità scaturite dal suo interno, dal suo rapporto con la realtà, e che poco gli si addice, nel corso della sua vita, l’accettazione di verità dettate, invece, da realtà esterne, non interamente coincidenti con la propria, e dunque soggette ad un diverso parametro di veridicità.
Tale pensiero conduce a vivere criticamente la propria esistenza, anche se risulta paradossale nel periodo storico e sociale che stiamo vivendo, determinato a proporre con ogni forza una realtà fittizia, sempre più omologata. Il relativismo, di converso, libera l’individuo da eventuali condizionamenti di carattere sociale, religioso, etico o ideologico, permettendogli lo sviluppo di un'opinione individuale, legata esclusivamente ad un rapporto di coerenza nei confronti dei caratteri più intimi della propria personalità, spingendolo ad adottare come unico metodo per orientarsi nel mondo quello più idoneo alla sua condizione: la conoscenza di se stessi in relazione all’esperienza della propria realtà.

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