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venerdì 3 settembre 2010

Il “politichese”: istruzioni per il disuso

di Natale Zappalà

La sofistica viene da molti considerata una dottrina negativa per via della particolare utilità che essa attribuisce alla retorica, vera e propria arte del convincimento e del condizionamento di una platea mediante i discorsi, il tutto ai danni della verità, considerata irrimediabilmente soggettiva.
Se tale principio utilitaristico rappresenta certamente una visione parziale e capziosa del pensiero sofista – cui si deve, fra le altre cose, una delle prime definizioni esaustive del concetto di relativismo culturale – non si può negare che le capacità persuasive affidate all'oratoria ne facciano un illustre antenato del “politichese”. Una nota azienda informatica ha pensato persino di inventare una sorta di traduttore simultaneo che crea e converte frasi dal linguaggio corrente al “politichese”, quale meraviglia della tecnologia!
Capita spesso, ai nostri giorni, di sentir rivolgere, nel corso di un'intervista o di un dibattito, ad un dato politico, la seguente domanda-standard: “Cosa ne pensa, signore, delle fave?”; al che, il politico-medio risponde con una prolissa ed ampollosa apologia di tutti i legumi, tranne ovviamente le fave. Ecco spiegato agevolemente cosa si intende per “politichese”, neologismo coniato negli anni '50 del '900 per designare le peculiarità oratorie dei governanti italiani; tuttavia, il fenomeno, al di là delle denominazioni specifiche, risale alla creazione dello stato e dei suoi rappresentanti, da millenni a questa parte.
La buona riuscita del suddetto metodo ostruzionistico, antagonista della verità e dell'immediatezza comunicativa fra gli individui, dipende dal livello di intelligenza, di concentrazione e di cultura del pubblico. Generalmente, le masse tendono a confondersi dinanzi alla disordinata mole di chiacchiere sciorinate per eludere o aggirare una domanda semplice, occultandone le vere risposte, sino a deviare rispetto l'obiettivo indagatorio originario della stessa.
Esemplificando, si provi a chiedere ad un amico, davanti a testimoni, l'ora esatta; se il nostro amico proromperà in un lungo e noioso excursus sull'aumento del costo unitario di un hamburger da parte di una nota catena di fast-food, il risultato consisterà, in primis, nell'aver nascosto a tutti l'orario ed, in secondo luogo, ad innescare negli astanti un'irrefrenabile voglia di mangiare immediatamente un panino, con tanti ringraziamenti all'amico ciarlatano, fonte della benemerita trovata alimentare.
Limitandosi all'affare del panino, il “politichese” non dovrebbe essere così dannoso per la società. Ma quando, al posto dell'hamburger, si risponde evasivamente in merito ai problemi rilevanti della gente comune, l'effetto è un altro.
Disgraziatamente, il “politichese” è un sistema vecchio quanto il mondo e, le soluzioni adatte ad arginare il fenomeno sono poche e vanno costruite con pazienza, studio e criticismo. Come dire, si parla di ceci se la domanda riguardava le fave? Allora, democraticamente e meticolosamente, si dimostri che l'oratore di turno si sta arrapicando sugli specchi.
Purtroppo, si attende sin dai tempi dell'Illuminismo la nascita di una civiltà la cui maggioranza dei membri non sia influenzabile dal “politichese”, ed ormai tale speranza sembra sconfinare sempre più nell'utopia. Sono pochi quelli che mantengono gli occhi aperti e i sensi all'erta, mentre molti si lasciano abbindolare dalle chiacchiere, relative al mondo della politica, al sistema mediatico ed alla pubblicità. Fino a quando? Ai posteri l'ardua sentenza.

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