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lunedì 16 agosto 2010

Nota critica al recital “La città fantastica”

di Salvatore Bellantone

La sera del 13 agosto 2010, presso l’anfiteatro comunale di Bagnara Calabra, si è svolto il recital “La città fantastica – il lungo canto di Lorenzo Calogero”, promosso dal gruppo sperimentale Villanuccia e dal Teatro Belli di Roma, in onore dell’omonimo poeta calabrese. Numerosi i concittadini partecipanti. Lo scopo del recital è stato quello di richiamare l’attenzione degli eredi più vicini al poeta e dei calabresi, sennonché dei concittadini, nei riguardi di un grande poeta della storia del Novecento e della storia della Letteratura Italiana ed Europea, e favorire così, al più presto, una nuova pubblicazione delle opere di Calogero.
Rifiutato infatti dai più grandi editori del mondo editoriale italiano del tempo, Calogero ha pubblicato le sue poesie a proprie spese presso case editrici di minore importanza (Lerici, Vallecchi, Centauro per dirne alcune) ma non è mai stato preso in considerazione nel panorama letterario del periodo, forse per invidia e per delirio di onnipotenza degli altri letterati a lui contemporanei. In questa eterna solitudine letteraria, Calogero è vissuto “povero e pazzo”, come si suol dire, ed è stato abbandonato a se stesso, fino alla morte. Dopo la sua dipartita, nel panorama intellettuale nazionale ed europeo si è aperto il cosiddetto “caso Calogero”, vale a dire una brevissima parentesi interrogativa sulla figura e sulla poetica di Calogero, nella quale gli scrittori, i critici e i poeti più in voga del periodo hanno giudicato l’opera calogeriana dall’alto del seggio autoritario che ognuno si è guadagnato con favoritismi politici, economici e propagandistici. Rifiutato il poeta in vita, la piramide del mondo intellettuale ne ha trascurato anche la poetica, bocciandola per questioni di prestigio personale, gloria e quattrini. Da allora, sono passati quasi cinquant’anni e il poeta di Melicuccà, bagnarese per parte della madre, è caduto nell’oblio assieme alle sue poesie.
All’associazione Villanuccia e al Teatro Belli va riconosciuto il merito di aver strappato alla dimenticanza Calogero e la sua poetica, mediante varie iniziative promosse negli ultimi anni, tra le quali ad esempio la realizzazione di un sito internet (www.lorenzocalogero.it) e del recital “La città fantastica” svoltosi a Bagnara, utili per riaprire l’antico caso Calogero, per riconoscere la sua opera sul panorama letterario europeo e mondiale, per riaccendere l’amore nei confronti del poeta calabrese e della sua poetica. Grazie a queste iniziative, infatti, ho conosciuto Calogero e la sua poesia: ai promotori di queste trovate sono debitore, perché da quando ho letto le poesie di Calogero non ho potuto fare a meno di avvertire l’importanza poetica, linguistica, artistica, emotiva, filosofica, in una parola “umana” che rappresenta l’opera calogeriana. Non ho voce in capitolo per quanto riguarda i diritti d’autore ma da quando leggo Calogero – ripeto per merito di chi ho citato sopra – ritengo di aver ereditato la sua storia e la sua poetica e, dunque, mi sento chiamato in causa in modo tale che è spiegabile esclusivamente con le palpitazioni che mi straziano quando leggo la sua stessa storia, le sue stesse poesie. Per questo motivo, vi ringrazio, perché conoscere la vita di un mio conterraneo Calogero, leggerne la poetica e sperimentare entrambi nei limiti della mia carne, per me significa vivere vera-mente. Se questo è lo scopo della vostra battaglia, mi rivolgo ai componenti del gruppo Villanuccia e del Teatro Belli, vale a dire far risorgere nei conterranei l’amore per il poeta di Melicuccà, allora vi dico che, nel mio caso, le vostre intenzioni hanno raggiunto un porto sicuro. In questa prospettiva, assistendo allo spettacolo da voi organizzato in onore del poeta calabrese – che ormai considero un mio fratello nel sangue dei versi – non posso fare a meno di evidenziare alcuni aspetti e momenti artistici dello spettacolo “La città fantastica”, tenutosi a Bagnara il 13 agosto, che, a mio parere, lo hanno esibito in modo a-Calogeriano, ossia contro Calogero uomo e poeta.
Le dichiarazioni introduttive svolte da Nino Cannatà hanno mostrato di che pasta siete fatti o, in particolar modo, di che pasta è fatto proprio lui. Sostenere che il senso della battaglia calogeriana svolta in questi anni con eredi e non, aveva la scadenza del 2011, dimostra che l’amore da voi – o da Cannatà – ostentato per Calogero è piuttosto avidità di denaro e gloria. Chi ama una persona qualsiasi non può porre dei limiti al proprio amore, ossia alla propria inclinazione/attrazione sfrenata nei confronti di altri. Se davvero siete – oppure è – innamorati di Calogero, malgrado possano apparire o perpetrarsi delle difficoltà per realizzare il sogno della riscoperta di Calogero, non avreste posto delle scadenze. Soprattutto, non avreste preteso tutti i comfort nel luogo, vale a dire albergo, pranzo, cena, biglietti da viaggio, caffé, ombrelloni e aria pagati da eredi e amministrazioni. Piuttosto, se non partecipando con una quota, avreste badato esclusivamente voi stessi alle spese organizzative dell’evento: dietro l’amore per Calogero e la sua poesia, vi siete fatti la vacanza e trattando chiunque con arroganza e sufficienza, in quanto voi siete grandi artisti scesi al Sud del mondo dall’Olimpo in braccio a Pegaso o ai fulmini dello stesso Zeus, avete – o hai, caro Cannatà – ostentato aria di vittimismo e lamentele, quasi a significare che quel che stavate facendo (o avete fatto) era un favore per gli eredi e i conterranei di Calogero? Ma vogliamo escludere tutto questo? Vogliamo concentrarci sullo spettacolo? E lo chiamate recital? Gli alunni di una scuola elementare calabrese, presa a caso, sarebbero stati più bravi e più rispettosi di Calogero e della sua poesia rispetto alla vostra esibizione.
La lettura dei versi calogeriani svolta da Carlo Emilio Lerici e Bianco è stata orrenda. Come si fa a sussurrare sdolcinatamente – accompagnandosi con musiche e immagini, il più delle volte non coerenti al testo – dei versi partoriti con sofferenza estrema da un uomo solitario? Da un cuore innamorato spezzato una volta sola ma con effetti illimitati nel tempo, quasi fosse tritato e ritritato all’infinito, ogni giorno, in ogni istante, da un macina di dimensioni titaniche? Da un uomo abbandonato da tutti, dalla società, dagli editori, dai fruitori fuorché dalla natura, dal pensiero, da emozioni lancinanti nel bene e nel male? Da un’anima sofferente a tal punto, nel corpo e nello spirito, da tentare due volte il suicidio? Da un errabondo tra la staticità del tempo cronologico e il fluire vorticoso della parola poetica? Da un disperato alla ricerca della suprema speranza – la verità – attraverso la stessa creazione poetica? Da un cercatore della vera vita, quando questa vita l’ha rinnegato in modo onnilaterale, tanto da spingerlo a proiettare quella ricerca anche oltre la morte, la cui testimonianza è “Vi prego di non seppellirmi vivo”?
Le musiche e le immagini preparate per queste letture erano davvero sconsiderate. Rappresentano la prova di una deficienza sostanziale, dietro quella parata da iper-intellettuali, in termini di gusto, sentimento, coerenza ai testi, rispetto per l’autore. Come si fa a costringere il pubblico ad ascoltare dei suoni e a guardare delle immagini bell’e pronte, anziché lasciare che sia la potenza della poesia di Calogero a evocare da sola i luoghi, i ritagli, le finestre, le prospettive, le vibrazioni stesse che hanno generato ogni verso?
La super-critica calogeriana, Carla Saracino, invitata in quest’occasione, ha fatto pubblicità esclusivamente alla sua persona e ad alcune associazioni e riviste per le quali ha collaborato, scrivendo su Calogero, e ha dato esclusivamente sfoggio della sua parvente preparazione sullo studio tecnico delle opere di Calogero sostenendo, all’inizio, di vivere un matrimonio ideale e spirituale con la poesia di Calogero: perché non ha espresso quali emozioni ha provato e prova ogni volta che legge un verso di Calogero? Forse perché non ne ha provate e ha soltanto svolgere i compiti per casa, come fanno tanti altri intellettuali?
Per non palare dell’amico Michelangelo Zizzi che, anticipando l’importanza onnidisciplinare e onnitematica della poetica calogeriana e ricalcando il “ribrezzo” che prova un intellettuale del suo calibro nel partecipare a eventi di questo genere nelle province d’Italia – dunque, un Apollo del suo retaggio non va a sciacquarsi i piedi in Calabria tanto meno a Bagnara – ha iniziato a dare sfoggio del proprio dono delle lingue greca e latina, sostenendo che in Calogero il logòs si ricongiunge con il monòs per diventare il generatore di verità personali? Mi scusi, signor Zizzi, ma quando leggeva l’opera di Calogero era già posseduto dal demone delle lingue? È evidente che non ha capito nulla! É evidente che uno scrittore come lei non poteva capire quanto sinteticamente ha detto l’erede Lucia Calogero, vale a dire che Calogero scrive nel tempo della piena crisi dei valori e che la sua poesia è una continua ricerca della verità. Non poteva capire quanto ha sottolineato Ottavio Rossani, e cioè che la poetica calogeriana racchiude una pluralità semantica, linguistica, espressiva che sfiora il mistico, il filosofico; che il senso della sua poesia, da inquadrare nella sua vita straziante, solitaria e infelice, è un’eterna e disperata ricerca dello scopo dell’esistenza. Altro che logòs che diventa monòs: nella poesia di Calogero, il logòs dei filosofi, patria della verità assoluta ed eterna sulla quale si regola e si sostiene l’intera esistenza, è proprio quello che non c’è e che qualifica principalmente la produzione poetica calogeriana, distinguendolo da tanti altri poeti del passato e rendendolo un poeta attuale, un uomo che fa pensare non filosofeggiare.
La vita, la biografia del poeta calabrese è stata la grande assenza in uno spettacolo volto a ricordarne il nome, la storia, la poetica. Come si fa a “sentire” anche un solo soffio della potenza lancinante, e alcune volte speranzosa, del verso calogeriano, se lo si scioglie dall’elemento biografico? Chi era Lorenzo Calogero? A questa domanda, mai posta, non può rispondere da sola la poesia: c’è bisogno di collocare, sulla base di quel che si conosce con accuratezza della biografia del poeta, la poesia dentro la vita di Calogero. Se non si fa questo, specialmente quando, come in tale occasione, s’intende proporre la riscoperta di Calogero sia sul piano poetico sia umano – in quanto è uno dei rari esempi nei quali vita e poesia (cioè pensiero ed evocazione) si toccano – e tale riscoperta riguarda i conterranei, gli europei, i terrestri, allora tutto il resto perde di significato per acquisirne un altro. Quale? Tutto quanto il recital è sembrato, a mio parere, una semplice ri-commercializzazione delle opere, per consentire ad altri (cioè voi stessi), anziché di studiare dettagliatamente e di amare l’intera poetica calogeriana alla luce della vita del poeta, di continuare a fare quattrini, di farsi le vacanze pagate e di atteggiarsi ad unici possessori della verità.
Per questi motivi, cari promotori ed esecutori del recital, nel rinnovare i miei ringraziamenti per avermi fatto conoscere Calogero, credo che gli unici ad aver avuto a cuore Lorenzo Calogero il 13 agosto sono stati gli eredi, il pubblico, Rossani, la Calabria, Bagnara, il cielo stellato che faceva da sfondo al nome del poeta calabrese che si faceva sentire nell’atmosfera circostante. Nell’immaginare prima un evento in onore di Lorenzo Calogero, uomo e poeta, e nel decidere di svolgerlo poi così come è avvenuto, credo sarebbe stato preferibile se aveste fatto banjee jumping, senza elastico, dal nostro bellissimo Belvedere.

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