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giovedì 26 agosto 2010

Petrarca, Leopardi e la demolizione della “donna-angelo”

di Natale Zappalà

Donzelle sublimate al massimo, amori non corrisposti e mai consumati espressi con linguaggio aulico o cavalleresco, il tutto all'insegna di un concetto di donna inteso come tramite ideale fra l'uomo e Dio. Trovatori, poeti siciliani e stilnovisti: ovvero i grandi teorizzatori – tenendo comunque conto di stilemi diversi a secondo di ogni “scuola” poetica – del canone della “donna-angelo”, un essere benevolo, sapiente e perfetto, dalla bellezza inestinguibile, capace di rassenenare il mondo intero persino quando altrui saluta.
Niente di più artificiale e distante dalla realtà fattuale, costituita da esseri umani naturalmente ed inevitabilmente imperfetti, coi loro pregi e i loro difetti. Al tempo stesso, niente di così lontano dalla convulsa miscellanea di passioni ed angosce provocate dall'amore, patimento indubbiamente terreno, quantomeno nella sua accezione di attrazione mentale e carnale (i due aspetti risultano inscindibili).
La “donna-angelo” tramite fra la terra ed il cielo: una teoria corretta finchè regge l'impalcatura di ipocrisia e sterile moralismo propria di un sentimento utopico con pretese di trascendenza, capace di scansare ed attecchire le pulsioni sessuali, in realtà consueti ed auspicabili complementi del Vero Amore, quello reale e non letterario.
D'accordo, Dante santifica la sua Beatrice quale riferimento allegorico della teologia, la suprema scienza del Medioevo, pur condannando – scrivendo, per altro, nel loro stesso linguaggio – quegli stilinovisti dei quali aveva fatto parte in gioventù, attraverso la collocazione di Paolo e Francesca nel girone infernale dei lussuriosi.
A voler ben vedere, già Guido Cavalcanti si era reso conto dell'assurdità insita nell'artificioso legame fra la donna, l'amore ed il Regno dei Cieli, esplicando i concetti dell'amore e della donna in qualità di impedimenti, piuttosto che incentivi volti al raggiungimento dell'eterna beatitudine.
Del resto, si trattava di uomini del XIV secolo, periodo in cui la morale cristiana ed il senso pervasivo del peccato dominavano la letteratura ufficiale, sebbene la maggioranza di questi autori, toltisi la maschera da buoni cristiani, non esitavano a fornicare alla grande, infischiandosene di valori ed etica cattolica. Come dire, de jure “donna-angelo”, ma de facto sgualdrine, amanti, concubine e figli illegittimi.
Poi, finalmente, arriva Petrarca. Il grande poeta aretino dedica a Laura l'intero Canzoniere; ma la sua Laura – udite, udite – invecchia e muore come tutti i mortali ma, soprattutto, attrae sessualmente il suo cantore: è l'inizio del processo di disgregazione della “donna-angelo”.
In più, l'amore terreno, per Petrarca, diviene un insormontabile ostacolo, insieme al perseguimento della gloria letteraria, nel raggiungimento della perfezione e, perché no, di un posto in Paradiso. Una perdizione alla quale Petrarca non può, o forse non vuole, sottrarsi, facendo così fare la figura del barbagianni ad Agostino d'Ippona, suo pedante interlocutore nel Secretum.
Dalla Laura del Petrarca alla voluttuosa Fiammetta del Boccaccio, il passo è breve. Tuttavia, a beneficio di quelle generazioni di studenti entrati inesorabilmente in paranoia poiché innamoratisi di “donne-angelo” inesistenti e direttamente traslate dai manuali di letteratura italiana, riportiamo la più efficace e sintetica demolizione della suddetta e celestiale categoria, quella di G. Leopardi nel canto Aspasia:


Perch'io te non amai, ma quella Diva
che già vita, or sepolcro, ha nel mio core.

L'esorcizzazione della “donna-angelo” è ora completa e il Leopardi, pur caduto anch'egli nel tranello della sublimazione dell'amata Fanny Targioni Tozzetti (l'Aspasia terrena), separa, impietosamente, l'immagine ideale ed irreale, della quale si era invaghito e sulla quale aveva fantasticato, dalla persona reale, naturalmente ed inevitabilmente imperfetta, come tutti noi.
In fondo, non bisogna essere geni per comprendere ed accettare l'inalienabile sostanza delle cose; la realtà potrebbe persino apparire gradevole, se affrontata con coerenza.

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